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La crisi del Muro

13/06/2008  |  Milano
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La crisi del Muro
Un tratto del Muro edificato da Israele negli anni scorsi. (foto M. Gottardo)

Si parla ormai sempre di meno del Muro di separazione tra Israele e i Territori. Essendo passati ormai sei anni dall'inizio dei lavori e avendolo ampiamente visto inquadrato nelle immagini dei nostri Tg, verrebbe da pensare che sia ormai finito. In realtà le cose non stanno affatto così. Il progetto è in una fase di stallo. Per problemi politici, ma anche finanziari. Lo spiegano bene alcune notizie interessanti che rilanciamo da alcuni siti sia israeliani sia palestinesi.


Si parla ormai sempre di meno del Muro di separazione tra Israele e i Territori. Essendo passati ormai sei anni dall’inizio dei lavori e avendolo ampiamente visto inquadrato nelle immagini dei nostri Tg, verrebbe da pensare che sia ormai finito. In realtà le cose non stanno affatto così. Il progetto è in una fase di stallo. Per problemi politici, ma anche finanziari. Lo spiegano bene alcune notizie interessanti che rilanciamo da alcuni siti sia israeliani sia palestinesi.

Vale la pena, però, di introdurre il discorso con una piccola premessa: come spesso accade nel conflitto israelo-palestinese, la vicenda del muro è stata ed è ancora una grande battaglia ideologica. Uno scontro tra le fazioni «muro sì» o «muro no». Con un risultato molto semplice: nessuno discute sul «come», che a mio modesto avviso è il vero problema del muro. Perché in linea di principio si può anche essere d’accordo sul fatto che tra Israele e i Territori ci debba essere un confine controllato molto rigidamente. Persino sul fatto che questo confine – in alcuni tratti – sia un muro di cemento alto otto metri, si potrebbe forse chiudere un occhio. Ma il problema è «come» si traccia questo confine. Chi decide da dove passa e con quali criteri. Questo è stato fin dall’inizio il problema del muro. Ed è il motivo per cui – a sei anni di distanza – il cantiere della più imponente opera pubblica mai costruita in Israele galleggia in un mare di contraddizioni.

È emblematico il fatto che sul sito ufficiale della «barriera di difesa» (com’è chiamato il muro in Israele) l’ultimo aggiornamento risalga al 3 gennaio 2007. E faccia il punto sulle cause legali pendenti all’Alta Corte di giustizia israeliana rispetto al tracciato. Per avere qualche notizia in più sul punto dei lavori bisogna andare sul sito di B’Tselem, l’organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani dei palestinesi. Stando ai dati più aggiornati (che risalgono comunque a sei mesi fa) sui 723 chilometri del progetto 409 sono stati completati e 66 risultano in costruzione. Questo significa che – per un terzo dell’opera – i lavori non sono nemmeno iniziati. Ma il dato ancora più interessante è che – se si va confrontare il dato con quello presente sul sito ufficiale e datato 12 gennaio 2006 – si scopre che negli ultimi due anni e mezzo non è stato aperto alcun nuovo cantiere. Un dato sorprendente per un’opera che negli anni scorsi era stata presentata come decisiva per la sicurezza di Israele. Anche intorno a Gerusalemme il muro è tutt’altro che finito: su 122 chilometri sono 28,2 quelli per cui la costruzione non è nemmeno iniziata. E per una ragione ben precisa: farlo vorrebbe dire prendere una decisione sugli insediamenti ebraici che rimarrebbero dalla parte sbagliata (quella dei palestinesi, per intenderci). Su questo tratto, dunque, non c’è fretta.

Poi c’è un altro aspetto molto interessante, quello dei costi. Lo racconta molto bene un articolo di Haaretz che recensisce un libro appena uscito in Israele. Si chiama «Il muro della follia» ed è stato scritto Shaul Arieli, un ex colonnello dell’esercito israeliano. La cosa interessante è che Arieli è un sostenitore dell’utilità del muro. Ma la «follia» è – appunto – il modo in cui è stato costruito. Perché il tracciato non è stato guidato da ragioni di sicurezza, ma dal tentativo di tenere dalla propria parte il maggior numero possibile di insediamenti e terreni. Anche a costo di violazioni palesi del diritto alla proprietà dei palestinesi. Arieli racconta delle obiezioni che – insieme agli altri ex militari che aderiscono al Council for Peace and Security – avevano avanzato fin da subito al tracciato. Obiezioni tutte respinte dal governo Sharon. Salvo poi essere costretti a buttare giù e rifare interi tratti del muro perché l’Alta Corte di giustizia israeliana in molti casi ha dato ragione ai ricorsi presentati dai palestinesi. Questo costruire, demolire e rifare – secondo i calcoli di Arieli – è costato al contribuente israeliano la bellezza di 7,5 miliardi di shekel, cioè quasi 1,5 miliardi di euro. Soldi letteralmente buttati al vento nell’illusione di poter ignorare i diritti più elementari di chi sta dall’altra parte. Arieli offre poi una serie di altri dati: la Linea Verde – ricorda – è lunga 313 chilometri; nel progetto del muro (comprendendo anche l’insediamento di Ma’ale Adumim) i chilometri sono diventati 790. Perché sono più che raddoppiati? Per tenere dalla parte israeliana il maggior numero possibile di insediamenti. Ma è stata sempre una scelta ragionevole? Noi del Council for Peace and Security – scrive Arieli – avevamo proposto un tracciato più semplice, lungo 500 chilometri. Bastava scegliere di rinunciare a qualcosa. Considerato che il muro costa 12 milioni di shekel al chilometro (2,5 milioni di euro), 290 chilometri in meno avrebbero permesso un risparmio di 3,5 miliardi di shekel (quasi 700 milioni di euro). E forse oggi i cantieri non sarebbero fermi.

Un ultimo dato paradossale, infine. La costruzione del muro arranca. Eppure le ordinanze contro le case palestinesi troppo vicine al muro non si fermano. Il sito del Poica – centro studi palestinese certamente di parte ma sempre molto ben documentato – ha appena dato la notizia di otto nuove ordinanze relative al villaggio di Beit Awwa, nel distretto di Hebron. Riguardano sette case (alcune in costruzione altre già abitate) e un pozzo. Su tutte pende la minaccia di demolizione perché non sono a una sufficiente distanza di sicurezza dal muro. Peccato che alcune si trovino lì da prima che il muro fosse costruito. Un’altra brutta pagina del «muro della follia».

Clicca qui per consultare il sito ufficiale della «barriera di difesa»

Clicca qui per consultare le statistiche fornite dal sito di B’Tselem

Clicca qui per leggere l’articolo di Haaretz

Clicca qui per leggere l’ultimo report del Poica

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