Il 6 agosto la Chiesa cattolica celebra la festa della Trasfigurazione di Gesù. Una tradizione attestata già nel IV secolo da Cirillo di Gerusalemme e da Girolamo, ritiene che proprio il Monte Tabor possa essere il luogo in cui sarebbe avvenuta la trasfigurazione. È su questo monte che i bizantini costruiranno le tre chiese di cui parla l'Anonimo Piacentino nel 570. Il luogo fu raso al suolo dal sultano Al Malik (1211-12) per costruirvi una fortezza; i cristiani vi torneranno nuovamente, costruendovi un santuario che sarà distrutto per ordine del sultano Bibars (1263). Solo nel 1631 i francescani potranno prendere possesso del monte Tabor. Nel numero di luglio-agosto della rivista Terrasanta, abbiamo ripubblicato un testo del 1924 nel quale si ricapitolano le vicende che hanno permesso ai frati di san Francesco di entrare in possesso di questo luogo santo. Lo riproponiamo ora anche ai lettori di Terrasanta.net.
Il 6 agosto la Chiesa cattolica celebra la festa della Trasfigurazione di Gesù. L’episodio della trasfigurazione è narrato sia nel Vangelo di Matteo (17,1-8) che in quello di Marco (9,2-8) e di Luca (9,28-36). Una tradizione attestata già nel IV secolo da Cirillo di Gerusalemme e da Girolamo, ritiene che proprio il Monte Tabor possa essere il luogo in cui sarebbe avvenuta la trasfigurazione. È su questo monte che i bizantini costruiranno le tre chiese di cui parla l’Anonimo Piacentino nel 570. Un secolo dopo Arculfo vi troverà un gran numero di monaci, e il Commemoratorium de Casis Dei (secolo IX) menzionerà il vescovado del Tabor con diciotto monaci al servizio di quattro chiese. Successivamente vi dimoreranno i monaci benedettini che costruiranno anche un’abbazia, circondando gli edifici di una cinta fortificata. Il luogo fu raso al suolo dal sultano Al Malik (1211-12) per costruirvi una fortezza; i cristiani vi torneranno nuovamente, costruendovi un santuario che sarà distrutto per ordine del sultano Bibars (1263). Solo nel 1631 i francescani potranno prendere possesso del monte Tabor. Nel numero di luglio-agosto della rivista Terrasanta, nella rubrica «Scritto Ieri», abbiamo ripubblicato il seguente testo del 1924 nel quale si ricapitolano le vicende che hanno permesso ai frati di san Francesco di acquisire questo luogo santo, dove ora sorge il santuario progettato e realizzato, nella prima metà del secolo scorso, dall’architetto Antonio Barluzzi.
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Fin dai primi tempi del Cristianesimo, il Tabor fu sempre oggetto di speciale predilezione dei pellegrini, che per salire l’erta montagna fecero 4000 gradini scolpiti nella roccia, e nel IV secolo in cima alla Montagna e nel sito tradizionale ove Gesù si trasfigurò, fu innalzata una sontuosa chiesa dotata di ampie rendite e dichiarata sede vescovile nel Concilio di Costantinopoli del 553. A guisa di nidi do aquila, attorno alla montagna sorsero celle di romiti onde esaltare perennemente la gloria di Colui che tutto muove.
Ma l’invasione prima di Cosroe e dei Saraceni poi, distrusse il sontuoso tempio, che solo potè risorgere nel 1001 per opera dei Padri Benedettini chiamativi da Tancredi. Però ne fu breve la durata, perché 12 anni dopo, monaci e servi in numero di 73 furono massacrati dalle bande di Molduc. Nel 1115 vi poterono ritornare, e l’Abbate fu insignito dal Romano Pontefice della dignità di Arcivescovo con diritto al pallio per onorare la Montagna della Trasfigurazione e la Chiesa di S. Salvatore. Nel 1187, dopo la disastrosa battaglia di Hattin abbandonarono definitivamente il Tabor sul quale salirono i turcomani che ne ridussero le costruzioni ad una montagna di ruine.
I Crociati lo riconquistarono, e nel 1252 vi ascese pellegrino S. Luigi Re di Francia; i Cavalieri di S. Giovanni lo abitarono per 8 anni, ma ne furono discacciati da Bibars che ne volle cancellato ogni ricordo nascondendo con terra il luogo dove esisteva il santuario.
Il possesso della Montagna frugava del continuo il cuore dei Francescani custodi degli altri Santuari della nostra Redenzione. Da Nazaret a Gerusalemme sfidando i pericoli del briganti che ne infestavano le vie, vi si recavano talvolta, e come meglio potevano vi celebravano il santo sacrificio. Finalmente vennero appagate le loro brame nel 1631, avendo ottenuto il Monte da Fakher-ed-Din emiro della Galilea, al quale era stata rivolta la domanda da Francesco da Verazzano Console di Toscana in Saida, e così il principe Galileo cercava di ricompensare l’ospitalità ricevuta dal Duca di Toscana quando era in esilio. I Francescani avrebbero voluto subito rilevare dalle ruine il celebre santuario, ma per l’uccisione del loro amico Fakher-ed-Din dovettero subire le conseguenze di quell’amicizia detestata dall’uccisore Amurat. (…)
Nel 1858 iniziarono gli scavi dovuti presto interrompere per spiacevoli circostanze. Si ripresero nel 1873 e successivamente con esito più felice, perché abbandonate le inutili ricerche al sud, s’intrapresero alla parte d’oriente, ove scoprirono le fondazioni della Basilica del IV secolo con le altre due Cappelle dedicate a Mosé ed Elia.
Quanto ne gioissero i figli di S. Francesco, non è facile ridirsi! D’allora vi si fissarono stabilmente costruendo un piccolo Oratorio con l’Ospizio ed in seguito la Casa per i pellegrini che ricavansi in quell’oasi d’amore. (…)
Certamente il progetto degli scavi, il consolidamento delle ruine della fortezza, mura saracene, del monastero benedettino con un Tempio degno della santità del Luogo era impresa colossale, sbalorditiva anche per la difficoltà di mancanza di vie per trasportare i pesanti materiali che sarebbero occorsi per la nuova Basilica. (…) La generosa e ricca America settentrionale si offrì a dare forti concorsi. (…)
I due rinomati architetti Fratelli Giulio e Antonio Barluzzi di Roma furono incaricati sia del grandioso progetto sia della ricostruzione delle ruine come della riedificazione della nuova Basilica. (…) Il 21 ottobre del 1919 fu collocata la prima pietra dal Cardinale Filippo Giustizi Protettore dell’Ordine dei Minori e Legato pontificio. Intanto vennero completati i lavori del progetto, ed il 16 maggio 1921 si ripresero i lavori si scavo e ripulimento.
(da La Terra Santa, 15 giugno 1924, p. 125)