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Guazzabuglio palestinese

11/09/2008  |  Milano
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Diciamo la verità: ormai abbiamo perso un po' tutti il conto dei tentativi di mediazione tra Hamas e Fatah messi in atto negli ultimi due anni dai Paesi arabi. Adesso siamo nel pieno di un ennesimo tentativo di «riconciliazione tra le fazioni palestinesi». Ma quello che rischiamo di non vedere è che la posta in gioco stavolta è molto alta. Infatti - come ci spiegano gli articoli che rilanciamo - le prossime settimane saranno decisive per le sorti dell'Autorità Nazionale Palestinese.


Diciamo la verità: ormai abbiamo perso un po’ tutti il conto dei tentativi di mediazione tra Hamas e Fatah messi in atto negli ultimi due anni dai Paesi arabi. Adesso siamo nel pieno di un ennesimo tentativo di «riconciliazione tra le fazioni palestinesi». Ma quello che rischiamo di non vedere è che la posta in gioco stavolta è molto alta. Infatti – come ci spiegano gli articoli che rilanciamo – le prossime settimane saranno decisive per le sorti dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Siamo, infatti, alla resa dei conti. Perché a gennaio scade il mandato del presidente Abu Mazen. E secondo la legge palestinese già tre mesi prima – dunque in ottobre -, dovrebbero essere indette le nuove elezioni presidenziali. Altrimenti – alla scadenza del mandato – dovrebbe subentrare come facente funzione il presidente del Consiglio legislativo palestinese, l’equivalente del Parlamento. Il problema è che questa figura – insieme a decine di deputati di Hamas – si trova ormai da due anni nelle carceri israeliane, per via della famosa operazione scattata subito dopo il rapimento del soldato Gilad Shalit. Morale: se non si arriva a un accordo tra Hamas e Fatah giuridicamente sarà il caos non solo a Gaza, ma anche in Cisgiordania (la West Bank). Per di più appare sempre più chiaro che Abu Mazen non potrà nemmeno giocare l’asso nella manica, presentandosi davanti all’opinione pubblica palestinese con un accordo soddisfacente firmato dal premier israeliano Ehud Olmert.

Per questo motivo – come spiega l’articolo dell’International Middle East Media Center – Abu Mazen starebbe meditando di sciogliere il Consiglio legislativo palestinese e ottenere dal Consiglio dell’Olp (in cui siede solo Fatah) una proroga di sei mesi del suo mandato. Detto in parole povere: liquiderebbe il Parlamento nella speranza di ottenerne un altro in cui Hamas non abbia la maggioranza. Questi giochi di potere si incrociano anche con la trattativa per la liberazione di Gilad Shalit, il soldato israeliano da più di due anni, ormai, prigioniero a Gaza. Perché – come spiega l’articolo di Joharan Baker su Miftah – nella lista di prigionieri che Israele dovrebbe liberare ci sono anche i quaranta parlamentari di Hamas. Solo che se Israele li liberasse sul serio il Consiglio legislativo palestinese tornerebbe ad essere un’istituzione reale. E dunque il governo di Ramallah guidato da Salaam Fayyad non avrebbe più alcuna legittimità. Abu Mazen sta quindi mettendo i bastoni tra le ruote alla trattativa. Però questo rende impossibile anche la liberazione dalle carceri israeliane di Marwan Bargouti, il giovane leader di Fatah, che tutti considerano l’erede naturale di Abu Mazen. Tirando le somme di questo guazzabuglio: le prossime settimane saranno decisive per la politica palestinese. O davvero si arriva a un accordo tra le fazioni o c’è il serio rischio che si infiammi anche la Cisgiordania.

Con questa situazione dovranno fare i conti soprattutto l’Egitto e la Giordania. Così Amman sembrerebbe aver scelto di riposizionarsi. Lo spiega molto bene un articolo dell’analista israeliano Yossi Alpher pubblicato dal quotidiano libanese The Daily Star. Vedendo che la tregua con Israele a Gaza sta tenendo, la Giordania sta iniziando a lanciare segnali ad Hamas. Senza scaricare per ora Abu Mazen; però il re giordano Abdallah – il moderato per eccellenza in Medio Oriente – si sta comunque preparando a ogni eventualità. Vede chiaramente che l’era Bush non finirà con lo sperato successo diplomatico in Medio Oriente. E così prova a giocare in proprio. Del resto – a differenza dell’Egitto – la Giordania non ha il problema di dover gestire un confine incandescente come quello di Rafah, nella striscia di Gaza. «Non mi stupirei – scrive Alpher – se nei prossimi mesi, attraverso la mediazione giordana, intellettuali e figure pubbliche di Israele e Hamas si sedessero allo stesso tavolo per colloqui informali».

Clicca qui per leggere l’articolo dell’International Middle East Media Center

Clicca qui per leggere l’articolo di Miftah

Clicca qui per leggere l’articolo di Yossi Alpher rilanciato da The Daily Star

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