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Un francescano a Rodi

01/10/2008  |  Roma
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Un francescano a Rodi
Rodi (Grecia). Fra John Luke Gregory (a sinistra) con due membri del clero ortodosso.

La presenza francescana della Custodia di Terra Santa travalica i confini del Medio Oriente, fino a raggiungere la Grecia. Dal 2004 padre John Luke Gregory, un frate 50enne originario di Sheffield, in Inghilterra, svolge il suo ministero tra i fedeli di Rodi, che costituiscono una comunità multietnica e internazionale. L'isola di Rodi è un luogo ricco di storia in cui i frati della Custodia sono sbarcati nei primi anni Settanta del secolo scorso, su richiesta della Santa Sede, per dare il cambio ai confratelli della Provincia umbra. Il 28 settembre scorso padre John Luke ha raccontato a Terrasanta.net le gioie e le sfide del suo essere prete cattolico in questa isola speciale del Dodecaneso.


La presenza francescana della Custodia di Terra Santa travalica i confini del Medio Oriente, fino a raggiungere la Grecia. Dal 2004 padre John Luke Gregory, un frate 50enne originario di Sheffield, in Inghilterra, svolge il suo ministero tra i fedeli di Rodi, che costituiscono una comunità multietnica e internazionale. L’isola di Rodi è un luogo ricco di storia in cui i frati della Custodia sono sbarcati nel 1972, su richiesta della Santa Sede, per dare il cambio ai confratelli della Provincia umbra. Il 28 settembre scorso padre John Luke ha raccontato a Terrasanta.net le gioie e le sfide del suo essere prete cattolico in questa isola speciale del Dodecaneso.

Padre John Luke, la sua azione pastorale si svolge tra fedeli di varie nazionalità e attualmente lei dedica un’attenzione particolare agli albanesi. Come mai si sta occupando in modo speciale di questo gruppo?
Gli albanesi sono molto emarginati. Parecchi di loro vengono dal nord dell’Albania ed erano cattolici prima del regime comunista di Enver Hoxha. La regione settentrionale non si è mai convertita all’islam perché essendo montagnosa presentava difficoltà alla penetrazione dei turchi. Proprio questa caratteristica geografica ha aiutato a mantenere la fede. Durante gli anni di Hoxha, però, tutte le chiese cattoliche – ma anche le altre chiese e moschee del Paese – vennero chiuse. Molti albanesi sono emigrati in Grecia, data la contiguità tra i due Paesi. Qui abbiamo una scuola internazionale dove si insegnano varie lingue tranne che l’albanese. Mi dispiaceva per i bambini albanesi e così ho deciso di aprire dei corsi gratuiti serali proprio per loro. Ogni sabato sera due insegnanti di madrelingua spiegano agli allievi la loro lingua e cultura. Ciò naturalmente li mette in contatto forse per la prima volta con me e con la Chiesa cattolica (tanti di loro sono ortodossi o musulmani). Ora anche i lavoratori filippini vorrebbero qualcosa di analogo per i loro figli e mi chiedono di organizzare delle lezioni domenicali. Quest’apertura ad altre lingue e culture è molto importante.

A Rodi avete un interessante mistura di nazionalità, quasi una sorta di Nazioni Unite…
Sì, quando celebro Messa la domenica, tra i fedeli ci sono almeno sette, a volte dodici, nazionalità diverse. C’è anche una piccola comunità vietnamita. E tra le altre cose che abbiamo avviato c’è un’Associazione latinoamericana.

Per quali ragioni Rodi è tanto pluralistica quanto a nazionalità?
Il motivo principale sta nel fatto che l’isola è da sempre un importante snodo commerciale. I mercanti approdavano qui da Venezia per poi proseguire verso il Medio Oriente. Così Rodi è sempre stata un melting pot di culture differenti. Con il turismo di massa lo è ancora di più. Le rotte commerciali che dall’Africa e dal Medio Oriente transitano verso la Turchia, e viceversa, passano da Rodi dove c’è, quindi, un flusso continuo di nazionalità diverse. È una realtà che mi piace molto e che credo sia buona. Un altro aspetto interessante è che Rodi è stata un protettorato italiano tra il 1912 e il 1945. In quell’arco di tempo hanno vissuto qui circa 14 mila italiano che hanno creato una notevole struttura sociale fatta di scuole, ospedali e orfanotrofi. Tutte queste strutture sono state costruite dagli italiani, incluse parecchie delle nostre chiese. Credo che l’accento posto dagli italiani su questa dimensione sociale (le cui strutture erano aperte a tutti: cattolici, ortodossi, alla grossa comunità ebraica che risiedeva qui all’epoca e ai musulmani) sia proprio ciò che ha consentito alla popolazione di Rodi di vivere insieme armoniosamente.

Quindi a Rodi la gente va d’accordo molto bene?
Sì. L’isola è un posto tranquillo e noi cattolici siamo in ottimi rapporti con i greco-ortodossi. Mi invitano a tutte le loro principali cerimonie, feste e celebrazioni nazionali. Questo è un Paese molto cristiano. Non c’è alcun dubbio.

Ci sono anche molti che vengono come pellegrini?
Quest’anno sì, per via dell’Anno Paolino. Si è registrato un incremento negli arrivi, non solo di turisti ma anche di veri e propri pellegrini.

Qual è la principale meta dei pellegrini?
C’è una baia, detta Baia di San Paolo, dove, secondo la tradizione, l’Apostolo avrebbe fatto approdo nei suoi viaggi per l’Asia Minore.

I pellegrini possono visitare anche molti monumenti di architettura cristiana?
Certamente. Oltre alle chiese bizantine e alle rovine c’è anche la Cittadella crociata, ancora completamente intatta e bellissima. Dal punto di vista archeologico qui è tutto uno splendore. Noi cattolici abbiamo anche una chiesa sull’isola di Kos, dove Ippocrate aprì il suo primo ospedale.

Le vostre chiese sono molto antiche?
Secondo la tradizione siamo qui da molti secoli. Secondo alcuni lo stesso san Francesco sarebbe sbarcato a Rodi. Una presenza accertata dei cattolici di rito latino risale al Decimo secolo. All’epoca non c’era ancora stato lo scisma d’Oriente e la Chiesa era una sola. Sull’isola vi era un solo tempio per i mercanti. Noi francescani ci stabilimmo qui intorno al 1225.

Anche a Rodi, dunque, quella francescana è una storia molto ricca.
I frati arrivarono qui con i crociati. Quando subentrarono i turchi ai francescani fu concesso di salire a bordo delle navi due volte all’anno per dare agli schiavi croci di palma e imporre le ceneri sul loro capo all’inizio della Quaresima. Un altro rito autorizzato era quello delle candele nella festa della Candelora. Ancor oggi a Rodi abitano i discendenti di una famiglia francese – i Masse – che si stabilì qui nel 1699. Sin da allora sono tra i nostri benefattori. Hanno protetto i frati e offerto i terreni su cui costruire le chiese. Germaine Masse, l’attuale discendente della famiglia, porta ancora doni alla chiesa. Se lo immagina? Una famiglia che da secoli continua a sostenere la chiesa. È qualcosa di raro.

Quali sono le sue priorità per il futuro della Chiesa sull’isola?
Dobbiamo lavorare per dare maggior peso al ruolo dei laici. La prima cosa che ho fatto al mio arrivo è stato costituire il consiglio pastorale. È molto importante perché se non si anima ed edifica il laicato, le cose non possono funzionare, dal momento che non ci sono abbastanza frati per fare le cose che facevamo in passato.

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