Nel novero delle idee che hanno guidato la fondazione del moderno Stato di Israele, la dinamica escatologica espressa da Martin Buber nel suo Israele e Palestina. Sion, storia di un'idea rappresenta l'accezione spirituale del sionismo, un'originalità storicamente minoritaria visto che il sionismo «vincente» di Herzl, Pinsker o Ben Gurion ha matrice laica e trae linfa dalla necessità di reagire ai peggiori effetti dell'antisemitismo, più che dall'esigenza interiore di obbedire al Dio di Abramo. Eppure nel presente l'opera educativa, esegetica, filosofica di Buber torna di estrema attualità.
«Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra». È il grido dell’esule, fatto proprio da tutti quelli che, nel dipanarsi della storia ebraica e cristiana, hanno considerato la Città Santa come il centro del mondo, perché in essa Dio ha reso percepibile la sua presenza camminando con l’uomo nello spazio e nel tempo.
«Se ti dimentico, Gerusalemme, si paralizzi la mia destra»: è il giuramento solenne di Dio per il suo popolo. Secondo la prospettiva ebraica, Gerusalemme appartiene al popolo di Israele e Israele appartiene a Gerusalemme e alla Palestina. La terra di Canaan è viva, è la sposa del popolo di Israele; in seno a questo incontro Dio si manifesta all’uomo. Altrimenti la presenza di Dio nel mondo resta nascosta e l’uomo non può avere pace. Che il matrimonio avvenga o meno, cioè che Israele viva santamente nella terra «dove scorre latte e miele», è questione che riguarda solo Israele e il suo Dio. Ma da questo incontro dipende anche l’armonia del mondo chiamato a ricevere la misericordia del Creatore che irradia soltanto dal Monte Sion e che da un punto così preciso del mondo strappa dall’Altra Parte, dal «deserto», l’intera comunità degli uomini.
Nel novero delle idee che hanno guidato la fondazione del moderno Stato di Israele e che compongono la percezione che questo popolo ha di se stesso e del suo destino, la dinamica escatologica espressa da Martin Buber nel suo Israele e Palestina. Sion, storia di un’idea, del 1944, rappresenta l’accezione spirituale del sionismo, un’originalità storicamente minoritaria visto che il sionismo «vincente» di Herzl, Pinsker o Ben Gurion ha matrice laica e trae linfa dalla necessità di reagire ai peggiori effetti dell’antisemitismo, più che dall’esigenza interiore di obbedire al Dio di Abramo.
Eppure nel presente l’opera educativa, esegetica, filosofica di Buber torna di estrema attualità, così come questa sua opera, ristampata da Marietti nel 2008 dopo una prima edizione del 1987. In essa, l’analisi dell’evoluzione storica del sionismo secondo il pensiero dei suoi grandi protagonisti storici (Rabbi Löw, Rabbi Nachman di Brazlav, Moses Hess, Herzl, Rav Kuk, Aharon David Gordon) è presentata e all’occorrenza criticata alla luce dell’oggettiva fedeltà di Dio alle sue promesse e all’oggettività della conseguente missione del popolo di Israele: il ritorno in patria, il vivervi santamente. Ma cosa si intende per «vivere santamente»? Buber si è sempre battuto affinché il giovane Stato ebraico riuscisse a realizzare al suo interno la coabitazione armoniosa tra arabi e israeliani: uno Stato «binazionale», federalista, laico, non etnico, in cui ebrei e palestinesi fossero «semiti fra i semiti», due soggetti distinti ma capaci di conoscersi e cooperare. La contraddizione con l’ineluttabilità del reciproco «appartenersi» di Israele e la Palestina è apparente: per il filosofo autore di Ich und Du, che teorizza il dialogo come dinamica costitutiva dell’uomo (non tanto la sua «meta», quanto la sua vera «origine»), il rapporto con l’alterità è un fatto politico nella misura in cui la politica, nella sua migliore espressione, deriva dall’etica. E l’etica, dove descrive la relazione tra gli uomini, guida il rapporto dell’uomo con Dio.