Padre Michele Piccirillo, morto il 26 ottobre scorso all'età di 64 anni, aveva un desiderio: essere sepolto sul Monte Nebo, in Giordania, lì dove aveva lavorato per tanti anni esprimendo con profondità il suo mestiere di archeologo e la sua fede. L'ultimo abbraccio, la «sua» Giordania glielo ha dato sabato primo novembre in una giornata stranamente calda e assolata, cominciata ad Amman, nella chiesa affollata della Vergine Maria a Sweifeh, dove si è deciso di celebrare un altro funerale, dopo quello romano. Il funerale con la gente che lo aveva conosciuto e amato in tutto il Medio Oriente.
In molti sapevano che padre Michele Piccirillo, morto il 26 ottobre scorso all’età di 64 anni, aveva un desiderio: essere sepolto lì dove aveva lavorato per tanti anni, ai suoi mosaici, al restauro della chiesa, lì dove aveva forse espresso con più profondità il suo mestiere di archeologo e la sua fede. Padre Piccirillo voleva essere sepolto sul Monte Nebo, in Giordania, e così è stato.
L’ultimo abbraccio, la «sua» Giordania glielo ha dato sabato primo novembre in una giornata stranamente calda e assolata, cominciata ad Amman, nella chiesa affollata della Vergine Maria a Sweifeh, dove si è deciso di celebrare un altro funerale, dopo quello romano. Il funerale con la gente che lo aveva conosciuto e amato in tutto il Medio Oriente, con i francescani, i cristiani giordani, i palestinesi, le autorità delle altre Chiese cristiane, i rappresentanti della casa reale hashemita, i membri del governo, gli amici che si era guadagnato in Terra Santa. Tutti quelli, insomma, con cui aveva condiviso – tappa per tappa – oltre quarant’anni tra Gerusalemme e il Nebo, tra Madaba e la Siria.
Una cerimonia semplice e sobria, come l’avrebbe voluta lui, e nello stesso tempo avvolgente, celebrata dal patriarca latino Fouad Twal, assieme ai francescani guidati dal Custode di Terra Santa, padre Pierbattista Pizzaballa, alla presenza del fratello e della sorella di fra Michele che lo avevano accompagnato dall’Italia. «Ci ha insegnato ad amare la terra, il deserto, i reperti», ha detto nella sua omelia monsignor Twal, promettendo che «noi giordani lo ricorderemo sempre» Poi il lungo convoglio si è mosso verso il Monte Nebo, scortato lungo il percorso da una discreta presenza della polizia, a segnalare quanto padre Piccirillo sia stato importante per il piccolo Paese arabo, quanto il suo lavoro avesse finalmente messo la Giordania sulla cartina geografica dell’archeologia.
Ad accogliere padre Michele, sul Nebo, la sua parrocchia, c’erano gli uomini, le famiglie che lui aveva aiutato, a cui aveva dato lavoro, a prescindere dalla fede di ciascuno. C’erano i beduini con i capi tribù, che già da prima erano arrivati a dare le condoglianze, c’erano amici, c’erano confratelli, c’erano quelli che a cui era stato possibile attraversare le difficili frontiere della Terra Santa. Non a tutti è stato concesso, ma chi ha potuto, sabato pomeriggio era lì, sotto la grande croce di ferro del Giubileo del 2000 di fronte alla chiesa bizantina che finalmente – grazie agli sforzi di padre Michele – potrà avere un tetto dignitoso, al posto di quello di lamiera che fino a poco tempo fa aveva protetto i mosaici. Lì sotto la croce, lì accanto al posto in cui padre Piccirillo aveva fatto vedere la Terra Promessa a Giovanni Paolo II durante il suo pellegrinaggio del 2000, la bara – portata a spalla dai suoi confratelli – è stata posata per un ultimo saluto e un’ultima preghiera, prima di essere sepolta vicino al monastero.
Ora padre Michele Piccirillo riposa sotto un grande albero, nel silenzio del Nebo, a qualche decina di chilometri da Gerusalemme e dal suo studio affollato di libri e di memorie nel convento della Flagellazione. Gerusalemme, nei giorni chiari e nitidi, si vede, dalla grande montagna: i due luoghi in cui lui aveva scelto di passare quasi tutta la sua vita, sono uniti dallo sguardo.