Questa mattina in Vaticano, Benedetto XVI ha ricevuto il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per il tradizionale scambio di auguri. Nel suo discorso il Papa ha volto lo sguardo alla situazione del Pianeta e soprattutto alle aree di conflitto. Parlando della Terra Santa ha detto tra l'altro: «In questi giorni assistiamo ad una recrudescenza di violenza che provoca danni e immense sofferenze alle popolazioni civili. Una volta di più, vorrei ripetere che l'opzione militare non è una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente».
Questa mattina in Vaticano, Benedetto XVI ha ricevuto il corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede per il tradizionale scambio di auguri all’inizio del nuovo anno e a pochi giorni dalle festività natalizie.
Come è consuetudine, rivolgendosi agli ambasciatori il Papa ha volto lo sguardo alla situazione del Pianeta e soprattutto alle aree di conflitto.
Sul Medio Oriente ha detto: «La nascita di Cristo nella povera grotta di Betlemme ci conduce naturalmente ad evocare la situazione nel Medio Oriente e, in primo luogo, in Terra Santa, dove, in questi giorni, assistiamo ad una recrudescenza di violenza che provoca danni e immense sofferenze alle popolazioni civili. Questa situazione complica ancora la ricerca di una via d’uscita dal conflitto tra israeliani e palestinesi, vivamente desiderata da molti di essi e dal mondo intero. Una volta di più, vorrei ripetere che l’opzione militare non è una soluzione e che la violenza, da qualunque parte essa provenga e qualsiasi forma assuma, va condannata fermamente. Auspico che, con l’impegno determinante della comunità internazionale, la tregua nella striscia di Gaza sia rimessa in vigore – ciò che è indispensabile per ridare condizioni di vita accettabili alla popolazione – e che siano rilanciati i negoziati di pace rinunciando all’odio, alle provocazioni e all’uso delle armi. È molto importante che, in occasione delle scadenze elettorali cruciali che interesseranno molti abitanti della regione nei prossimi mesi, emergano dirigenti capaci di far avanzare con determinazione questo processo e di guidare i loro popoli verso la difficile ma indispensabile riconciliazione. A questa non si potrà giungere senza adottare un approccio globale ai problemi di quei Paesi, nel rispetto delle aspirazioni e degli interessi legittimi di tutte le popolazioni coinvolte. Oltre agli sforzi rinnovati per la soluzione del conflitto israelo-palestinese, che ho appena menzionato, occorre dare un sostegno convinto al dialogo tra Israele e la Siria e, per il Libano, appoggiare il consolidarsi in atto delle istituzioni, che sarà tanto più efficace quanto più si compirà in uno spirito di unità. Agli iracheni, che si preparano a riprendere pienamente in mano il proprio destino, rivolgo un incoraggiamento particolare a voltare pagina per guardare al futuro, per costruirlo senza discriminazioni di razza, di etnia o di religione. Per quanto riguarda l’Iran, non bisogna rinunciare a ricercare una soluzione negoziata alla controversia sul programma nucleare, attraverso un dispositivo che permetta di soddisfare le legittime esigenze del Paese e della comunità internazionale. Un simile risultato favorirebbe grandemente la distensione regionale e mondiale».
Ancora domenica scorsa, 4 gennaio, al termine della preghiera dell’Angelus, Papa Ratzinger aveva citato Gaza, dichiarando di volersi unire spiritualmente ai «patriarchi e ai capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme (che) oggi, in tutte le Chiese della Terra Santa, invitano i fedeli a pregare per la fine del conflitto nella striscia di Gaza e implorare giustizia e pace per la loro terra». «Le drammatiche notizie che ci giungono da Gaza – aveva soggiunto il Papa – mostrano quanto il rifiuto del dialogo porti a situazioni che gravano indicibilmente sulle popolazioni ancora una volta vittime dell’odio e della guerra. La guerra e l’odio non sono la soluzione dei problemi. Lo conferma anche la storia più recente».
Ad oggi, rende noto la sala stampa vaticana, sono 177 gli Stati che intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede. A questi vanno aggiunti l’Unione Europea e l’Ordine di Malta. La Russia e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp) sono invece rappresentate presso il Papa da una loro missione speciale.