Per la Chiesa essere filo-palestinese e anti-israeliana non è utile, afferma l'ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. In una conversazione del 9 gennaio scorso con Terrasanta.net, Mordechay Lewy mette in guardia dal cercare di ingraziarsi i favori dei musulmani assumendo posizioni anti israeliane.
Per la Chiesa essere filo-palestinese e anti-israeliana non paga, afferma l’ambasciatore di Israele presso la Santa Sede. In una conversazione del 9 gennaio scorso con Terrasanta.net, Mordechay Lewy dice di constatare una «determinante linea di cambiamento» nell’atteggiamento della Chiesa verso Israele, ma mette in guardia dal cercare di ingraziarsi i favori dei musulmani assumendo posizioni anti-israeliane, specialmente come reazione al conflitto in corso a Gaza o alla situazione dei cristiani in Terra Santa.
«Posso comprendere – dice Lewy – lo speciale affetto che i cattolici nutrono gli uni per gli altri, ma essi non dovrebbero cercare di migliorare la situazione della sicurezza personale dei loro fratelli contrapponendosi agli israeliani. Quella è una scelta politica che non rappresenta un’assicurazione sulla vita. L’esperienza dimostra che è semmai una scelta fallimentare, che non porta a nulla». Il diplomatico incalza: «I musulmani nutrono un risentimento profondo verso i cristiani e non si lasciano impressionare dalle loro dichiarazioni anti-israeliane».
Lewy riconosce che «non è facile» essere cristiani in Medio Oriente: «Non dico che i cristiani non abbiano problemi in Israele, ma dovrebbero ringraziare Dio di vivere sotto la sovranità israeliana e non quella islamica».
L’ambasciatore risponde alle opinioni di alcuni cattolici secondo i quali la Chiesa considera poco Israele per la sua incapacità di adempiere ai termini dell’Accordo fondamentale, il trattato bilaterale che nel 1993 ha posto in essere le relazioni diplomatiche tra Israele e Santa Sede. Lewy respinge l’affermazione come «argomento non serio» e aggiuge: «Se qualcuno vuol essere filopalestinese, trova molte ragioni». Precisa poi che Israele non cambierà atteggiamento per questo genere di critiche: «Se ci comportiamo in un certo modo è in ossequio alle nostre leggi. So che talune persone non sono disposte ad apprezzarci pubblicamente, mentre lo fanno in privato. Ce ne facciamo una ragione».
Lewy apprezza il discorso rivolto ai diplomatici la settimana scorsa da Papa Benedetto XVI, e dice che il Papa ha offerto consigli che Israele «può sottoscrivere senza difficoltà». Ratzinger ha chiesto un immediato cessate il fuoco a Gaza, ha condannato ogni violenza ed espresso la speranza che le elezioni alle porte in Israele, Iran e Palestina possano contribuire a dischiudere una nuova era di pace.
Quando gli chiediamo se la condanna del Papa per la violenza che risponde a violenza fosse diretta a Israele, l’ambasciatore osserva che il discorso papale è «di ordine spirituale e non politico» e offre suggerimenti che, se accolti, rilancerebbero il processo di pace. «(L’intervento del Papa) non dà indicazioni su come votare. (Il Papa) non vota. Non prende parte al processo politico, e non lo fa neppure la Chiesa», dice il diplomatico, apprezzando che Benedetto XVI non abbia fatto nomi o attribuito colpe, perché «non è questo il momento per farlo».
Lewy ribadisce nuovamente la sua preoccupazione per le parole del cardinal Renato Martino, presidente del Pontificio consiglio per la giustizia e la pace, che la scorsa settimana definì Gaza «un campo di concentramento». L’ambasciatore considera il commento «improprio», ma si dice soddisfatto della risposta della Santa Sede, che, riconosce, «ha reagito prontamente e con efficacia, come una squadra di vigili del fuoco».
Chiediamo all’ambasciatore cosa accadrebbe se Israele dovesse pentirsi delle sue atrocità contro i palestinesi. Si aprirebbe la strada alla pace e si emarginerebbero gli estremisti? «Non vedo alcuna ragione per chiedere a Israele di fare ammenda mentre difende il suo diritto ad esistere», risponde Lewy. «Affrontiamo un nemico, come Hamas, che abusa dei civili utilizzandoli come scudi umani, accumulando munizioni nelle moschee e stabilendo i propri centri operativi nei sotterranei degli ospedali. Hamas occulta un alto numero delle sue perdite in modo che i media credano che in questo conflitto ci sono soprattutto vittime civili».