Aule di studio e laboratori di pace
In ogni terra, ma in particolare in Medio Oriente, la scuola è un luogo privilegiato di formazione alla convivenza. E l’esperienza oramai secolare delle scuole cristiane – dove negli ultimi decenni la presenza degli studenti musulmani è andata via via aumentando – può insegnare molto. In Terra Santa i cristiani costituiscono il 2 per cento della popolazione, ma sono il 4 per cento della popolazione scolastica. Sono percentuali basse ma significative, se si considerano la storia del Paese, e il ruolo di aggregazione e di formazione svolto dalle scuole dei frati, fin dalla loro fondazione.
Dal punto di vista economico, il bilancio di una scuola privata in Terra Santa non può che essere passivo. Lo Stato israeliano, in base alle caratteristiche delle varie scuole, copre circa il 46 per cento delle spese delle elementari e anche più dell’80 per cento di quelle secondarie, e di questi contributi beneficiano anche le scuole private. L’Autorità Palestinese, invece, finanzia esclusivamente le scuole pubbliche. Perciò, ragionando in termini economici, le scuole private su territorio palestinese dovrebbero sostenersi con le sole rette delle iscrizioni. Mediamente il passivo delle scuole della Custodia si aggira intorno al milione di dollari all’anno. Non si possono chiedere rette esose per la popolazione e occorre andare incontro a chi non ha possibilità di pagare. Così circa il 30 per cento degli alunni sono esentati dalle tasse scolastiche.
Da alcuni anni la Custodia ha destinato delle risorse anche a studenti universitari che non possono pagarsi gli studi. Assicurare a questi giovani una formazione culturale di livello superiore è un modo per favorire la loro permanenza in Terra Santa.
Qualcuno potrebbe obiettare che anche la scuola pubblica garantisce il pluralismo ed è un luogo di convivenza, dove gli alunni apprendono a conoscersi e a rispettarsi. Questo non è escluso, ma forse è necessaria qualche informazione in più. Nelle scuole israeliane si danno lezioni di Giudaismo, e agli alunni musulmani, se ce ne sono, si danno lezioni di Islamismo. Sono previste anche lezioni di Cristianesimo, pur se facoltative. Nelle scuole pubbliche della Palestina e degli altri Paesi arabi (Libano escluso) è ammesso soltanto l’insegnamento della religione islamica, che, in una cultura dove non si concepisce la distinzione tra religione e Stato, ha più il carattere dell’affermazione di una professione di fede nell’Islam che di una formazione culturale religiosa, senza contare l’obbligo di frequenza del corso di religione per ottenere il diploma.
Non è difficile immaginare a quali pressioni psicologiche sono sottoposti gli studenti cristiani costretti a frequentare scuole musulmane per mancanza di scuole cristiane nella regione dove abitano. Soltanto in quest’ultime si garantisce ad ogni allievo il diritto di vivere e approfondire liberamente la propria fede. In concreto nelle scuole della Custodia, quando i cristiani hanno la loro ora di religione, anche i musulmani hanno la propria, secondo una norma applicata fin dal 1957.
Non vi è nulla di celebrativo nel dire che la Custodia con le scuole compie un’opera di inestimabile valore sul piano della civilizzazione in Terra Santa; e non solo per i cristiani. Certamente l’istruzione e la formazione professionale sono state il principale argine contro l’emigrazione e l’assimilazione culturale e religiosa dei cristiani locali. Si tratta di un’esigua minoranza della popolazione, ma sarebbe una ben infelice scelta rinunciare a prendersi cura di questo piccolo seme.