Ancora ragazzini. Uno di 16 anni morto e l'altro di 7 gravemente ferito. È il risultato dell'aggressione a colpi di ascia compiuta da un palestinese ieri mattina nell'insediamento di Bet Ayin, nel Gush Etzion. L'ennesimo capitolo della strage degli innocenti che contraddistingue il conflitto israelo-palestinese: in poche guerre i minori - da una parte come dell'altra - hanno pagato un prezzo così alto. Ma in questo caso specifico sono vittime della stoltezza con cui si continua a non fare i conti con il problema degli insediamenti...
Ancora ragazzini. Uno di 16 anni morto e l’altro di 7 gravemente ferito. È il risultato dell’aggressione a colpi di ascia compiuta da un palestinese ieri mattina nell’insediamento di Bet Ayin, nel Gush Etzion. L’ennesimo capitolo della strage degli innocenti che contraddistingue il conflitto israelo-palestinese: in poche guerre i minori – da una parte come dell’altra – hanno pagato un prezzo così alto. Ma in questo caso specifico sono vittime della stoltezza con cui si continua a non fare i conti con il problema degli insediamenti.
Secondo i dati ufficiali dell’Istituto di statistica israeliano nel 1992 – prima che cominciassero i negoziati di Oslo – nelle colonie ebraiche nei Territori vivevano 100.500 cittadini israeliani. Nel 2000 – quando le trattative si sono interrotte – erano già diventati 190 mila. Oggi sono 290 mila. Chiunque vede che – sicurezza o non sicurezza, palestinesi buoni o palestinesi cattivi – la crescita del numero di coloni è incompatibile con la possibilità che anche tra dieci, venti o cinquant’anni nascano questi benedetti due Stati di cui continuiamo a parlare quando non sappiamo che cosa dire. Nessuno, invece, ha il coraggio di mettersi davanti a una cartina e dire che non è ammissibile – ad esempio – che un governo violi le proprie leggi. Dal 2004 in un cassetto esiste un rapporto ufficiale su carta intestata del governo israeliano – il rapporto Sasson – in cui sta scritto che nei Territori accanto ai 120 «ufficiali» ci sono 105 insediamenti che (stando alla legge israeliana) non dovrebbero esistere. Non solo. Bisognerebbe cominciare a farsi un po’ di più qualche domanda banale. Ad esempio: come ci va un colono ad abitare nei Territori? Semplice: compra la casa su Internet. Come potete vedere nel sito che vi proponiamo di visitare, ci sono anche le foto delle case, come se si trattasse di una normale compravendita e non di un fatto comunque legato a un conflitto che uccide. E queste compravendite non avvengono solo nei Territori: l’agenzia palestinese Maan ieri dava notizia dell’ennesima casa «sequestrata» dai coloni nel quartiere musulmano della Città Vecchia a Gerusalemme. A certe notizie bisogna imparare a fare la tara. Quella casa è stata certamente comprata, attraverso qualche prestanome. Il problema è che quando chi ha venduto si è accorto a chi finiva realmente in mano è scoppiato il putiferio. Ma potrebbe essere diversamente? È normale che un governo lasci che un gruppo di coloni compri casa nel mezzo di un quartiere di arabi musulmani, come se non sapesse che c’è un conflitto in corso da ormai cento anni tra questi due gruppi?
Continuiamo a far finta di niente. E alla fine muoiono i ragazzini. Sì, e non è un caso che vi vadano di mezzo proprio loro. Le manifestazioni in difesa delle colonie a Gerusalemme le fanno soprattutto i ragazzini delle yeshivà, imbevuti dell’ideologia dell’Eretz Yisrael. Tra l’altro il bambino ferito ha il padre in carcere in Israele. Perché? Lo racconta l’articolo di Haaretz del 2006 che siamo andati a ripescare: suo padre nel 2002 insieme ad altri due abitanti di Bet Ayin, aveva piazzato una cartella imbottita di esplosivo davanti all’entrate di una scuola femminile a Gerusalemme Est. Bambine anche loro. Per fortuna la bomba è stata scoperta e disinnescata.
I giornali di oggi sono pieni di articoli sulla frase del nuovo ministro degli Esteri israeliano Avigdor Lieberman secondo cui Israele non è vincolata ad Annapolis ma solo alla Road Map. E tutti subito a dire: ecco, il nuovo governo degli estremisti. Le solite lacrime da coccodrillo. Se davvero si volesse fare qualcosa di importante bisognerebbe prendere la palla al balzo e mettere alle strette Lieberman. Dirgli: «Hai ragione. Annapolis erano chiacchiere, non c’era nulla di vincolante. Ripartiamo dalla Road Map, che invece è documento sottoscritto con impegni precisi. Israele a che punto è? Quanti degli outpost che lì si diceva che andavano smantellati avete tolto? Perché se la crescita degli insediamenti doveva essere congelata rispetto ad allora nei Territori oggi si sono 50 mila coloni in più». Israele non ha rispettato nemmeno gli impegni minimi previsti dalla Road Map. Anziché vagheggiare improbabili soluzioni dietro l’angolo, sarebbe ora di cominciare da qui. Non sarebbe la pace, ma forse riusciremmo a salvare la vita almeno a qualche ragazzino.
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