All'inizio del volo papale verso la Giordania, prima tappa, l'8 maggio, del suo pellegrinaggio in Terra Santa, il Papa ha incontrato come di consueto i giornalisti imbarcati sul suo aereo. Ratzinger ha risposto a quattro domande postegli a nome di tutti dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
(g.s.) – All’inizio del volo papale verso la Giordania, prima tappa, l’8 maggio, del suo pellegrinaggio in Terra Santa, il Papa ha incontrato come di consueto i giornalisti imbarcati sul suo aereo. Ratzinger ha risposto a quattro domande postegli a nome di tutti dal direttore della sala stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi.
La prima ha riguardato «il periodo molto delicato per il Medio Oriente», che aveva indotto molti a pensare che il pellegrinaggio venisse rinviato, e il contributo che il Papa avrebbe potuto dare al processo di pace. Nella sua risposta Ratzinger ha detto: «Certamente cerco di contribuire alla pace non come individuo ma in nome della Chiesa cattolica, della Santa Sede. Noi non siamo un potere politico, ma una forza spirituale e questa forza spirituale è una realtà che può contribuire ai progressi nel processo di pace. Vedo tre livelli. Il primo: da credenti, siamo convinti che la preghiera sia una vera forza: apre il mondo a Dio. Siamo convinti che Dio ascolti e che possa agire nella storia. Penso che se milioni di persone, di credenti, pregano, è realmente una forza che influisce e può contribuire ad andare avanti con la pace. Il secondo livello: noi cerchiamo di aiutare nella formazione delle coscienze. La coscienza è la capacità dell’uomo di percepire la verità, ma questa capacità è spesso ostacolata da interessi particolari. E liberare da questi interessi, aprire maggiormente alla verità, ai veri valori è un impegno grande: è un compito della Chiesa aiutare a conoscere i veri criteri, i valori veri, e a liberarci da interessi particolari. E così – terzo livello – parliamo anche – è proprio così! – alla ragione: proprio perché non siamo parte politica, possiamo forse più facilmente, anche alla luce della fede, vedere i veri criteri, aiutare nel capire quanto contribuisca alla pace e parlare alla ragione, appoggiare le posizioni realmente ragionevoli».
La seconda domanda ha posto il tema del rapporto tra cristiani ed ebrei e del dialogo tra le due parti, ancora turbato da malintesi. Il Papa ha sottolineato l’importanza di avere «la stessa radice, gli stessi Libri dell’Antico Testamento che sono – sia per gli ebrei, sia per noi – Libro della Rivelazione. Ma, naturalmente, dopo duemila anni di storie distinte, anzi, separate, non c’è da meravigliarsi che ci siano malintesi, perché si sono formate tradizioni di interpretazione, di linguaggio, di pensiero molto diverse, per così dire un "cosmo semantico" molto diverso, così che le stesse parole nelle due parti significano cose diverse; e con questo uso di parole che, nel corso della storia hanno assunto significati diversi, nascono ovviamente malintesi. Dobbiamo fare di tutto per imparare l’uno il linguaggio dell’altro, e mi sembra che facciamo grandi progressi. Oggi abbiamo la possibilità che i giovani, i futuri insegnanti di teologia, possono studiare a Gerusalemme, nell’Università ebraica, e gli ebrei hanno contatti accademici con noi: così c’è un incontro di questi "cosmi semantici" diversi. Impariamo vicendevolmente e andiamo avanti nella strada del vero dialogo, impariamo l’uno dall’altro e sono sicuro e convinto che facciamo progressi. E questo aiuterà anche la pace, anzi, l’amore reciproco».
Terzo spunto offerto al Papa è stato quello del dialogo interreligioso che include anche i rapporti con i musulmani. «Anche l’islam – ha risposto Ratzinger – è nato in un ambiente dove erano presenti sia l’ebraismo sia i diversi rami del cristianesimo: giudeo-cristianesimo, cristianesimo-antiocheno, cristianesimo-bizantino, e tutte queste circostanze si riflettono nella tradizione coranica così che abbiamo tanto in comune fin dalle origini e anche nella fede nell’unico Dio, perciò è importante da una parte avere i dialoghi bilaterali – con gli ebrei e con l’Islam – e poi anche il dialogo trilaterale. Io stesso sono stato cofondatore di una fondazione per il dialogo tra le tre religioni, dove personalità come il metropolita Damaskinos e il gran rabbino di Francia René Samuel Sirat, ecc. eravamo insieme e questa fondazione ha curato anche un’edizione dei libri delle tre religioni: il Corano, il Nuovo Testamento e l’Antico Testamento. Quindi il dialogo trilaterale deve andare avanti, è importantissimo per la pace e anche – diciamo – per vivere bene ciascuno la propria religione».
L’ultima domanda ha toccato la questione dell’esodo dei cristiani dal Medio Oriente, le possibili misure per aiutarli a restare, il contributo del Papa a questo scopo e, infine, la sorte dei cristiani di Gaza. Secondo il Pontefice, quello attuale è un momento «difficile, ma anche un momento di speranza di un nuovo inizio, di un nuovo slancio nella via verso la pace. Vogliamo soprattutto incoraggiare i cristiani in Terra Santa e in tutto il Medio Oriente a rimanere, a dare il loro contributo nei Paesi delle loro origini: sono una componente importante della cultura e della vita di queste regioni. In concreto, la Chiesa, oltre a parole di incoraggiamento, alla preghiera comune, ha soprattutto scuole e ospedali. In questo senso abbiamo la presenza di realtà molto concrete. Le nostre scuole formano una generazione che avrà la possibilità di essere presente nella vita di oggi, nella vita pubblica. Stiamo creando una Università cattolica in Giordania: mi sembra questa una grande prospettiva, dove giovani – sia musulmani sia cristiani – si incontrano e imparano insieme, dove si forma un’élite cristiana che è preparata proprio per lavorare per la pace. Ma generalmente le nostre scuole sono un momento molto importante per aprire un futuro ai cristiani e gli ospedali mostrano la nostra presenza. Inoltre ci sono molte associazioni cristiane che aiutano in diversi modi i cristiani e con aiuti concreti li incoraggiano a rimanere. Così spero che realmente i cristiani possano trovare il coraggio, l’umiltà, la pazienza di stare in questi Paesi, di offrire il loro contributo per il futuro di questi Paesi».