Le rivendicazioni palestinesi e le tensioni generate dal conflitto israelo-palestinese, a poche ore dall'arrivo del Santo Padre in Terra Santa, iniziano inevitabilmente a far capolino. La polizia israeliana ha chiuso questa mattina il Centro informazioni che l'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) aveva aperto presso l'Hotel Ambassador a Gerusalemme Est. Una sorta di sala stampa alternativa nella quale incontrare i giornalisti e informarli sullo stato dei colloqui di pace e sulla situazione dei Territori, dove continua la politica degli insediamenti dei coloni israeliani.
Le rivendicazioni palestinesi e le tensioni generate dal conflitto israelo-palestinese, a poche ore dall’arrivo del Santo Padre in Terra Santa, iniziano inevitabilmente a far capolino. La polizia israeliana ha chiuso questa mattina il Centro informazioni che l’Autorità Nazionale Palestinese (Anp) aveva aperto presso l’Hotel Ambassador a Gerusalemme Est. Una sorta di sala stampa alternativa nella quale incontrare i giornalisti e informarli sullo stato dei colloqui di pace e sulla situazione dei Territori, dove continua la politica degli insediamenti dei coloni israeliani.
Il primo atto ufficiale del Centro informazioni palestinese doveva essere una conferenza stampa del gran muftì di Gerusalemme Muhammad Ahmad Hussein (la massima autorità religiosa musulmana che incontrerà il Papa domani mattina sulla Spianata delle Moschee), e del patriarca emerito di Gerusalemme, mons. Michel Sabbah, convocata presso l’Ambassador. Che però in mattinata è stato fatto sgomberare dalla polizia israeliana che ha contestato agli organizzatori di non aver chiesto i regolari permessi e di svolgere attività contrarie allo Stato d’Israele.
Così, all’ultimo momento i giornalisti sono stati avvisati di recarsi al campo di Sheikh Jarrah, un sobborgo di Gerusalemme Est, dove dal 2001 Um Kamel, una donna musulmana, vive in una tenda insieme ai suoi cinque figli in seguito alla distruzione della sua casa da parte delle autorità israeliane. Piazzati i microfoni davanti alla tenda, un banchetto di fortuna per il materiale informativo, Rafiq Hussaini, capogabinetto del presidente palestinese, e Hatem Abdel Kader, portavoce del primo ministro, hanno spiegato l’accaduto e stigmatizzato il comportamento delle autorità israeliane, «lesivo dei più elementari diritti umani».
È poi toccato al gran muftì prendere la parola. Il suo intervento è stato comunque di saluto al Santo Padre: «Si tratta di una visita speciale – ha detto -. Vogliamo dare il nostro benvenuto al Papa che viene tra noi come messaggero di pace. Ci aspettiamo che la sua visita possa dare una spinta al raggiungimento della pace e della giustizia in questa regione, così che noi si possa vivere in armonia. Crediamo che il Vaticano affermerà la sua politica di sempre. Finora i papi non hanno riconosciuto l’annessione di Gerusalemme Est che continua ad essere una zona occupata. Gerusalemme deve essere la capitale dello Stato palestinese». E alla domanda di un giornalista circa la porzione di viaggio papale compiuta in Giordania, il muftì ha dimostrato di aver gradito i discorsi fin qui pronunciati: «Il Papa ha sottolineato in Giordania la necessità di una collaborazione tra musulmani e cristiani. Ha dimostrato stima e apprezzamento per l’islam e questo non può che favorire un miglioramento del rapporto tra le due religioni».
Assente il patriarca emerito Sabbah, a rappresentare la Chiesa cattolica locale è intervenuto don Pietro Madros, sacerdote del patriarcato latino. Che molto chiaramente ha spiegato il suo punto di vista sull’accaduto: «Le autorità israeliane hanno chiuso l’ufficio informazioni che l’Anp aveva stabilito presso l’Hotel Ambassador, questo per negare qualsiasi diritto dei palestinesi su Gerusalemme Est. Israele si considera l’unico Stato sovrano su tutta la Terra Santa che controlla dall’aria e dal mare».
E sulla visita appena iniziata: «Ci aspettiamo da Benedetto XVI la saggezza del padre e la sollecitudine del pastore. Viene a confermare la fede dei cristiani di Terra Santa. In Israele continuamente si chiede ai cristiani di scusarsi di questo o di quest’altro. Le parole che il Papa dirà oggi pomeriggio allo Yad Vashem saranno guardate con la lente d’ingrandimento. Ma è un trucco: parlare del passato per nascondere le sofferenze del presente. Un presente amaro anche per i cristiani. Non vogliamo cadere in questa trappola».