Non si capisce davvero il Medio Oriente se ci si ferma alle analisi politiche. Sono giorni importanti per le diplomazie internazionali: dopo Obama, domenica è atteso un discorso importante di Netanyahu; subito dopo parlerà anche il leader di Hamas Meshaal. E poi c'è il risultato (sorprendente) delle elezioni in Libano e quello atteso in queste ore dall'Iran. Ma esiste anche una diplomazia dei fatti, costituita di gesti che capitano e relazioni sincere tra persone, che lasciano ben sperare per il futuro della Terra Santa.
Non smetterò mai di ripeterlo: non si capisce davvero il Medio Oriente se ci si ferma alle analisi politiche. È vero, sono giorni importanti per le diplomazie internazionali: dopo Obama, domenica è atteso un discorso importante di Netanyahu; subito dopo parlerà anche il leader di Hamas Meshaal. E poi c’è il risultato (sorprendente) delle elezioni in Libano e quello atteso in queste ore dall’Iran. Ci sono, però, anche altre notizie che non leggiamo mai e che invece aiutano ad andare un po’ oltre gli stereotipi. Per questo la Porta di Jaffa di questa settimana si concentra su tre «buone notizie» che difficilmente troverete altrove.
La prima, la più spiazzante, l’abbiamo letta sull’agenzia palestinese Maan ed è l’ennesimo di quei gesti di solidarietà che sbocciano anche nel cuore di un conflitto. La notizia è molto semplice: una donna che viaggia con un bambino di quattro mesi perde il controllo della sua auto nei pressi di un villaggio vicino a Betlemme e va a capottarsi. Intervengono dei giovani che hanno visto la scena, l’aiutano a uscire dall’abitacolo e chiamano l’ambulanza. Nulla di strano. se non fosse per un piccolo dettaglio: la donna in questione è una colona che viaggiava su una by-pass road (le strade riservate agli abitanti degli insediamenti israeliani in Cisgiordania) mentre i giovani in questione erano palestinesi del vicino villaggio di Tuqu. Ci troviamo in una di quelle oasi dove il conflitto alla fine rimane un po’ ai margini? Niente affatto: Maan si premura di ricordarci che proprio lì, anche recentemente, ci sono stati degli scontri tra ragazzi che lanciavano pietre e l’esercito. Eppure c’è una forma di solidarietà che scatta comunque. Anche tra palestinesi e coloni. Anche in un momento in cui la tensione sul tema degli insediamenti è alle stelle. E c’è un’agenzia di informazione palestinese che decide di dare risalto alla notizia, presentando questa storia come esemplare.
Perché – nonostante tutto quello che leggiamo – può comunque succedere qualcosa del genere? Lo dichiara uno dei protagonisti nell’articolo di Maan: «Perché quando abbiamo visto l’incidente – spiega – i sentimenti di umanità sono stati più forti dei sentimenti di odio e di inimicizia che i coloni israeliani suscitano in noi». Parole interessanti. Perché dicono che c’è un’umanità di fondo che resta viva anche dentro un conflitto. Ed è un’umanità da tenere viva. Così ci ricolleghiamo alla seconda notizia positiva della settimana, che viene invece da Israele. Questa è la Settimana del libro in Israele e per celebrarla Haaretz ha avuto un’idea molto interessante. Al posto di proporre la solita carrellata di recensioni (più o meno compiacenti) ha chiesto agli scrittori di sostituirsi per un giorno ai suoi giornalisti. Così, tanto per fare qualche esempio, Etgar Keret ha fatto il cronista politico, David Grosmann un reportage da una comunità di recupero, il poeta Shimon Adaf si è cimentato addirittura con una scoperta di fisica nucleare realizzata dall’Istituto Weizmann. Leggendo gli articoli il filo rosso è proprio il senso di umanità che questi sguardi immettono nelle cronaca. Ne emerge un Israele un po’ diverso rispetto a quello che di solito ci viene raccontato. L’Israele di un’élite? A leggere i dati pubblicati ieri sempre in occasione della Settimana del libro da Sergio Della Pergola su moked.it – il portale dell’ebraismo italiano – non si direbbe: «oltre due terzi degli israeliani leggono libri regolarmente, il 74 per cento delle donne e il 61 per cento degli uomini. Il 50 per cento legge almeno sei libri l’anno, e la stessa percentuale regala libri a parenti e amici». Israele continua a leggere e questo è un elemento da non sottovalutare.
Infine la terza «buona notizia» in arrivo dal Medio Oriente: in realtà si tratta dell’ennesimo commento alle parole di Obama al Cairo. Ma è importante sia per la firma (molto autorevole) sia per le cose che dice. Sul sito di Common Ground, infatti, il rabbino David Rosen – che ben conosciamo per la grande apertura al dialogo ebraico-cristiano – sottolinea un elemento particolare del discorso del presidente degli Stati Uniti: al di là dei contenuti politici – scrive – ciò che conta è che abbia «utilizzato la religione come uno strumento di comunicazione». A differenza di tanti altri politici occidentali che – continua il rabbino – sono viceversa «o ignoranti rispetto all’identità musulmana dei loro interlocutori o, più semplicemente, insofferenti (se non ostili) rispetto al coinvolgimento della dimensione religiosa». Rosen scrive addirittura che il fatto di non aver cercato di tirare dentro l’elemento religioso è stato il grande errore del processo di Oslo. In fondo anche Obama (e Rosen con lui) alla fine scommettono sull’umanità dell’altro. Forse per questo le analisi solo politiche fanno fatica a inquadrare fino in fondo le parole del Cairo.
Clicca qui per leggere la notizia di Maan
Clicca qui per leggere il numero di Haaretz realizzato dagli scrittori
Clicca qui per leggere l’articolo di Sergio Della Pergola su moked.it
Clicca qui per leggere l’articolo di David Rosen