Armenia. Nel Paese delle croci
L’Armenia è luogo simbolico prima che geografico; l’attaccamento ai simboli di un’antichissima cultura (dal monte Ararat alle grandi croci scavate nella pietra, i katchkar), oltre che alla memoria dolente del genocidio (anche qui con le sue infinite croci), consente di conservare una forte identità al di là della presenza fisica nel Paese caucasico (circa 4 milioni gli armeni della diaspora, 3 milioni quelli in patria).
Di questa appartenenza è parte costitutiva la religione cristiana: prima nazione al mondo a convertirsi al cristianesimo nel 301, il battesimo coincide, nella sensibilità popolare, con il «diventare armeni».
Il fiero senso di identità nazionale, liberatosi dalla repressione della dominazione sovietica, sta facendo oggi i conti con gli influssi consumistici provenienti dalla cultura occidentale e con le tensioni politiche che segnano l’area del Caucaso al centro del «grande gioco» tra Russia, Stati Uniti, Cina, Israele, Iran, nel quale l’Unione Europea prova ad inserire un intervento equilibratore che disinneschi la miccia di possibili conflitti sempre pronti ad esplodere, come hanno dimostrato le vicende di Ossezia e Georgia della scorsa estate.