La geografia, messa nera su bianco sulle mappe, continua a raccontare cosa sta succedendo dietro le quinte, negli uffici delle autorità di governo e della burocrazia israeliane. Così come a Washington, in tutte le stanze che si occupano del dossier israelo-palestinese tra Casa Bianca e Dipartimento di Stato. Ancora una volta, com'è successo nei momenti più determinanti del conflitto, lenti di ingrandimento, matite e righelli sono tutti sulla mappa di Gerusalemme, anzi, per meglio dire, di quella che per convenzione si chiama ormai Grande Gerusalemme.
C’è sempre stato un solo protagonista, negli oltre sessant’anni in cui si è dipanato il più lungo e confuso conflitto nella storia recente del Medio Oriente: la mappa. Sono state sempre le cartine – disegnate a tavolino, discusse, segnate dal sangue, controfirmate negli armistizi, cambiate dai fatti sul terreno – a rappresentare la realtà del conflitto tra israeliani e palestinesi. La geografia, messa nera su bianco, continua a raccontare cosa sta succedendo dietro le quinte. Negli uffici delle autorità di governo e della burocrazia israeliane. Così come a Washington, in tutte le stanze che si occupano del dossier israelo-palestinese tra Casa Bianca e Dipartimento di Stato.
Ancora una volta, com’è successo nei momenti più determinanti del conflitto, lenti di ingrandimento, matite e righelli sono tutti sulla mappa di Gerusalemme. Anzi, per meglio dire, di quella che per convenzione si chiama ormai Grande Gerusalemme, un’area che dal cosiddetto «bacino sacro» (i luoghi santi alle tre religioni del Libro) si irraggia sin verso le colline che circondano la città sulle due direttrici principali, a nord verso Ramallah, e a sud verso Betlemme. Lì, sulla cartina della Grande Gerusalemme, contendenti e negoziatori stanno discutendo – aspramente, per usare un eufemismo -, e non tanto sul congelamento della crescita immobiliare delle colonie in Cisgiordania.
La questione nodale, insomma, non è l’aumento della cubatura degli insediamenti israeliani che ormai costellano la Cisgiordania, dividendola – attraverso un sistema articolato e complesso di strade separate, zone industriali, aree militari, check-point, muro di separazione – in veri e propri cantoni. Il problema è lì ormai da decenni, riguarda la presenza di oltre 280 mila israeliani che vivono e lavorano nelle grandi colonie, e che sarà impossibile sradicare, se non a costi altissimi. Ora la questione cruciale riguarda il futuro e lo status di Gerusalemme, cuore (simbolico e non solo) di tutti i negoziati.