«Il Signore diede a me…»
Tra gli scritti di Francesco, (30 redatti sotto dettatura o a modo di appunti e 3 autografi) ce ne sono alcuni che più di altri ne rivelano l’anima: le numerose preghiere e i due testamenti; il Testamento di Siena (di una settantina di parole) risale alla primavera del 1226, mentre il Testamento ultimo (di circa 860 parole) è stato dettato, alla Porziuncola, poche settimane o forse pochi giorni prima della morte. In quel tempo, Francesco non era vecchio (aveva circa 44 anni), ma si sentiva ormai al termine di un cammino segnato da rigide privazioni e da costanti e gioiose offerte di sé nell’ascolto obbediente del Signore che lo incontrò nel lebbroso; speso nel servizio ai suoi frati che – imprevedibilmente – si unirono a lui per condividere l’avventura del Vangelo, e nella predicazione della pace agli uomini e alle donne – cristiani e non – che incontrava sui sentieri del mondo. Il cuore di Francesco apre all’anonimo frate scrivano un ampio sguardo retrospettivo sulla vita propria e dei primi frati, ne ripercorre alcune tappe e si sofferma su aspetti caratterizzanti la vita personale e dei Frati Minori. Il Testamento non è la ripresa e la consegna di una sintesi degli ideali francescani, quanto piuttosto «un ricordo, un’ammonizione, un’esortazione e il mio testamento, che io, frate Francesco piccolino, faccio a voi, miei frati benedetti, affinché osserviamo più cattolicamente la Regola che abbiamo promesso al Signore» (v. 34 /FF 127).
«Il Signore diede a me…»: questa meravigliosa espressione è il portale del Testamento, e ritornerà altre quattro volte (a cui aggiungiamo l’espressione analoga «Il Signore mi rivelò») per cadenzare la memoria e la riflessione su episodi e valori che hanno segnato l’esperienza di Francesco e della Fraternità. Osserviamo le due espressioni: esse hanno come soggetto «il Signore», il quale «diede» (o "rivelò") a Francesco qualche cosa, e cioè: di iniziare a «fare penitenza» incontrando il lebbroso (vv. 1-3 /FF 110); la preghiera di adorazione e di benedizione per la redenzione mediante la santa croce (vv. 4-5 /FF 111); la fiducia e la sottomissione, l’amore e l’onore per i sacerdoti, ministri dell’Eucaristia e della Parola (vv. 6-13 /FF 112-115); la vita «secondo la forma del santo Vangelo», nella povertà, nella preghiera, nel lavoro e nella condizione di mendicanti (vv. 14-22 /FF 116-120); il saluto «il Signore ti dia pace» e la vita di minorità nella società e nella Chiesa (vv. 23-26 /FF 121-123).
La struttura della frase rappresenta in realtà la struttura di pensiero di Francesco e la forma della sua religiosità! Francesco non ha alcun interesse a parlare di sé – né qui né altrove nei suoi scritti -, ma solo del Signore Né si presenta come il protagonista di una storia, quasi che sia stato lui a pensarla, programmarla ed eseguirla (e fatta eseguire), poiché sa molto bene che in principio sta Colui che è «il sommo bene, eterno, dal quale proviene ogni bene e senza il quale non esiste alcun bene» (Parafrasi del Padre nostro 2 /FF 267; cfr Regola non bollata XXIII,9 /FF 70). Nel raccontare la storia, Francesco ancora una volta mette avanti il Signore come il vero protagonista, e presenta se stesso e i suoi frati come indegni destinatari dei doni che vanno accolti, trafficati e «restituiti»: «Restituiamo al Signore Dio altissimo e sommo tutti i beni e riconosciamo che tutti i beni sono suoi e di tutti rendiamogli grazie, perché procedono tutti da Lui. E lo stesso altissimo e sommo, solo vero Dio abbia, e gli siano resi ed Egli stesso riceva tutti gli onori e la reverenza, tutte le lodi e tutte le benedizioni, ogni rendimento di grazia e ogni gloria, poiché suo è ogni bene ed Egli solo è buono» (Regola non bollata XVII,17 /FF 49).
Leggendo con attenzione gli scritti, notiamo facilmente che tale «struttura di pensiero» è costante: essa è la stupenda rivelazione dell’anima accogliente, riconoscente e riccamente povera del beato «frate Francesco, servo minore» (Lettera a tutti i fedeli 87 /FF 206) che «restituisce tutti i suoi beni al Signore Dio» (Ammonizione XVIII, 2 /FF 168).
(L’autore è biblista e Commissario di Terra Santa per il Piemonte)