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I muri e la democrazia

13/11/2009  |  Milano
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È arrivata fino in Medio Oriente nei giorni scorsi l'eco delle celebrazioni per i vent'anni dalla caduta del Muro di Berlino. Ed è stato fin troppo facile accostare il simbolo della «cortina di ferro» al muro di reticolati e cemento tuttora in piedi tra Israele e i Territori palestinesi. C'è stato però anche chi è andato un po' più in là, proponendo riflessioni meno scontate. Che valgono assolutamente la pena di essere riprese.


È arrivata fino in Medio Oriente nei giorni scorsi l’eco delle celebrazioni per i vent’anni dalla caduta del Muro di Berlino. Ed è stato fin troppo facile accostare il simbolo della «cortina di ferro» al muro di reticolati e cemento tuttora in piedi tra Israele e i Territori palestinesi. C’è stato però anche chi è andato un po’ più in là, proponendo riflessioni meno scontate. Che valgono assolutamente la pena di essere riprese.

Partiamo da un articolo molto coraggioso scritto da Rami Khouri, editorialista arabo molto noto che scrive per il quotidiano libanese The Daily Star. I suoi articoli sul Medio Oriente sono tradotti spesso anche da Internazionale, ma questo dubito che lo leggeremo mai in italiano. Perché Rami Khouri dice una cosa scomoda, parla di un altro «muro» che attraversa il mondo arabo e non accenna a cadere: «il mondo arabo – scrive – è l’unica eccezione all’ondata di libertà e democrazia che in questi venti anni anni ha toccato ogni altra regione del pianeta. Gli strumenti attraverso cui lo Stato esercita il suo controllo variano da Paese a Paese nel mondo arabo, e anche il tasso di autocrazia cambia, ma il risultato è praticamente ovunque lo stesso: il cittadino arabo medio non avverte la possibilità di poter esprimersi davvero liberamente o non si sente in grado di influenzare le politiche dei propri governi». Questo – annota ancora Khouri – succede in Paesi che hanno una popolazione tendenzialmente giovane e che per tutti gli altri aspetti – istruzione, viaggi, connessioni informatiche, contesto urbano, incontro con le altre culture – sperimentano gli effetti positivi della modernità. Khouri paragona questa situazione a quella dei giovani dell’Europa dell’est negli anni Ottanta e si augura che l’esito possa davvero essere lo stesso.

È una riflessione interessante, soprattutto se si tiene presente chi l’ha scritta. Esportare la democrazia in Medio Oriente è stato lo slogan di George W. Bush e si è visto come è andata. Ma perché non ha funzionato? La risposta viene da un editorialista come Khouri, che è davvero difficile arruolare tra i teocon: la democrazia va coltivata dal basso, scommettendo sui giovani del mondo arabo e non su qualche cavallo di ritorno con la benedizione di Washington. Ma è soprattutto su chi abita in questi Paesi che ricadono le responsabilità. Perché i «ragazzi di Teheran» a Ramallah, al Cairo o a Beirut oggi non ci sono? Ecco la domanda vera che questo articolo con grande coraggio pone.

Meno concettuale ma comunque ugualmente interessante è invece lo sguardo offerto sui vent’anni dalla caduta del muro dall’agenzia di informazione economica israeliana Globes. Proprio in coincidenza con l’anniversario, questa testata ha infatti anticipato una notizia notevole: il prossimo 30 novembre il premier Netanyahu e altri nove ministri terranno la riunione settimanale dell’esecutivo israeliano nella sede del Reichstag, il Parlamento tedesco a Berlino. Sarà anche questo un appuntamento inserito nelle celebrazioni del ventennale del 1989 e farà da preludio a un vertice bilaterale con il governo tedesco. È difficile per un non ebreo cogliere appieno il significato di questo gesto. Il Reichstag è uno dei simboli di quella Germania che promulgò le leggi di Norimberga e portò gli ebrei nei campi di sterminio. Quando negli anni Cinquanta Ben Gurion firmò il trattato in cui Israele accettava dalla Germania di Adenauer delle compensazioni per il dramma provocato dai nazisti, a Gerusalemme rischiò di scoppiare la guerra civile. Come raccontano molto bene i libri di Lizzie Doron, figlia di un’ex deportata, molti sopravvissuti ai campi non accettarono mai di prendere «i soldi dei tedeschi». Anche se poi magari – di notte, di nascosto – andavano a prendere dall’angolo più nascosto della libreria i romanzi di Goethe, per rileggere quel mondo che mancava loro tremendamente.

Ci sarà qualche stupido che adesso inizierà con la tiritera degli israeliani che «sfruttano» la Shoah per andare a «incassare» un sostegno politico in Germania. In questo caso è una lettura davvero gretta. Il consiglio dei ministri israeliani al Reichstag è un gesto che chi ha davvero a cuore la pace in Medio Oriente deve accogliere con speranza. È un modo per ricordare che prima del Muro di Berlino c’erano stati i reticolati di Auschwitz. E che anche la pagine più tragiche della storia si possono voltare. Personalmente quel giorno – pur essendo lontano anni luce dalle sue scelte politiche – mi sentirò a fianco di Benjamin Netanyahu.

Clicca qui per leggere il commento di Rami Khouri pubblicato su The Daily Star
Clicca qui per leggere la notizia pubblicata dall’agenzia economica israeliana Globes

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