La decisione di Benedetto XVI di convocare un Sinodo speciale per il Medio Oriente da tenersi nell’ottobre del 2010 è una scelta a dir poco profetica. Le diverse Chiese del Medio Oriente hanno assistito, negli ultimi decenni, a così tanti sconvolgimenti da rendere necessario una pausa di riflessione. In diversi settori, la vita di queste antiche comunità è diventata fragile. Qua e là comincia a pesare la loro condizione di minoranza, all’ombra di una libertà religiosa sempre più limitata all’esercizio del culto. Problemi, questi, che hanno indotto migliaia di famiglie cristiane a ritenere remoto, se non impossibile, l’auspicio di una vera convivenza in Medio Oriente e a optare per l’emigrazione. Le conseguenze di questa sfiducia sono presenti agli occhi di tutti: Dalla metà del secolo scorso a oggi, la percentuale dei cristiani di ogni denominazione si è drasticamente ridotta: in Libano dal 51 al 36 per cento della popolazione; in Terra Santa dal 6,8 all’1,8 per cento; in Iraq dal 3,2 all’1,4. I cattolici delle diverse Chiese locali sono, poi, una minoranza nella minoranza, dato che totalizzano insieme meno di due milioni degli oltre undici milioni di cristiani della regione: un milione in Libano, 350 mila in Iraq, 300 mila in Siria, 200 mila in Egitto, 62 mila in Israele, 45 mila in Giordania e 20 mila nei Territori palestinesi. «Ci saranno ancora dei cristiani in Medio Oriente nel terzo millennio?», si chiedeva qualche anno fa l’autore di Vie et mort des chrétiens d’Orient. «Senz’altro – rispondeva Jean-Pierre Valognes, ma saranno pochi per potere contare qualcosa […] Una delle battaglie più lunghe della Storia è in procinto di essere persa».
L’iniziativa del Sinodo vuole invece essere un’opposizione al diffuso pessimismo che si denota ogni volta che si evoca il futuro dei cristiani in Medio Oriente, una speranza nuova per il cristianesimo nella terra in cui esso è nato. Esattamente come ebbe a scorgere con lungimiranza Giovanni Paolo II nel 1997 quando diede alla sua esortazione apostolica seguita al Sinodo speciale per il Libano il titolo profetico di Una speranza nuova per il Libano.
Lo stesso «itinerario di preghiera, di penitenza e di conversione» proposto ai cattolici libanesi sarà ora proposto a tutti i cattolici del Medio Oriente, chiamati a interrogarsi sul significato profondo della loro presenza nella regione alla luce del tema prescelto: «Comunione e testimonianza». È vero che, convocando questo Sinodo, il patrimonio di fede che le comunità cristiane del Medio Oriente hanno vissuto e vivono, spesso fino al martirio, sarà sotto gli occhi dell’intera Chiesa, ma il Papa chiede a quelle stesse comunità uno sforzo ulteriore. Le Chiese locali saranno in particolare chiamate a rendere la loro testimonianza al Vangelo ancor più credibile tra i loro connazionali musulmani. E i cattolici, nonostante il loro esiguo numero, possono fare molto grazie ad un impegno sociale ed educativo che non è mai venuto meno. Basti pensare alla vasta rete di scuole e istituzioni cattoliche che, dal Libano all’Egitto, sono aperte senza alcuna discriminazione ai musulmani e che contribuiscono al progresso della società. Per continuare a farlo, i cattolici hanno ora bisogno di nuovi strumenti che – questo il nostro auspicio – il prossimo Sinodo potrà loro fornire. Uno di essi è una comunione più autentica e salda fra loro. Di fronte alle sfide in atto diventa, infatti, più urgente per le Chiese locali testimoniare la loro unità nella terra-culla del cristianesimo piuttosto che cercare di sottolineare i propri patrimoni e tradizioni nei nuovi Paesi della diaspora.