Il nome «Betlemme» ricorre in tutta la Bibbia 44 volte. Volendo fare un confronto, il termine «Gerusalemme» nelle sue due forme lessicali vi compare oltre 780 volte. Betlemme è menzionata per la prima volta in Gen 35,19, nel racconto della morte di Rachele. Durante il viaggio da Betel a Efrata, per la moglie prediletta del patriarca Giacobbe giunse il tempo di partorire. Il parto si rivelò difficile. Poco dopo aver dato alla luce il figlio Beniamino, «Rachele morì e fu sepolta lungo la strada verso Efrata, cioè Betlemme». Sulla tomba della moglie, Giacobbe eresse una stele commemorativa. Questa stele – come volle sottolineare lo scrittore sacro – esiste ancora oggi. Più tardi, rievocando sul letto di morte questi avvenimenti, Giacobbe disse a suo figlio Giuseppe: «Quanto a me, mentre giungevo da Paddan, tua madre Rachele mi morì nel paese di Canaan durante il viaggio, quando mancava un tratto di cammino per arrivare a Efrata, e l’ho sepolta là lungo la strada di Efrata, cioè Betlemme» (Gen 48,7).
«Efrata» in ebraico significa «fruttuosa/fertile/feconda». Giuseppe, figura del Messia, è chiamato germoglio fecondo (Gen 49,22). Si tratta quindi di un nome caratteristico di tutta la regione intorno a Gerusalemme, che metteva in risalto i suoi valori agricoli. Sul territorio di Efrata, oltre a Betlemme si trovava la città di Kiriat-Yearim (Sal 132,6), dove per lunghi anni fu collocata l’arca di Dio (1Sm 7,1-2) prima di essere trasportata nella città di Davide (Gerusalemme). Col passare del tempo si cominciò a riferire l’appellativo «Efrata» in prevalenza agli abitanti di Betlemme: in un certo senso esso divenne un secondo nome di questa città. Stando alla genealogia della tribù di Giuda, il padre-fondatore di Beth-Lehem fu Cur, il primogenito di Efrata (1Cr 4,4), oppure il figlio di Cur, Salma (2,51.54). L’espressione «padre di Betlemme» non deve meravigliare perché nelle genealogie bibliche i nomi dei capitribù indicano spesso i nomi di popoli, paesi e città. Ne deriva allora che il territorio di Betlemme, come quello di molte altre città di quella regione, fu occupato dagli israeliti appartenenti alla tribù di Giuda (cfr Gs 15,59b Settanta).
Occorre notare inoltre che la Bibbia usa anche il termine «Betlemme di Giuda» (Gdc 17,7-9), che faceva parte cioè della tribù di Giuda, per distinguerlo da un altro villaggio con lo stesso nome, compreso nei confini della tribù di Zabulon: «Betlemme di Galilea» (Gs 19,15; Gdc 12,8.10). Questo villaggio corrisponde all’odierna città Beth-Lehem ha-Gelilit, distante circa 12 chilometri a nord-ovest di Nazaret. Secondo l’archeologo israeliano Aviram Oshri, questo sarebbe il vero luogo della nascita di Gesù. La sua ipotesi, formulata nel 2005, si basa su tre presupposti: logico, teologico e archeologico. 1) Oshri ritiene improbabile che Maria in stato avanzato di gravidanza potesse sopportare un viaggio così lungo (circa 140 chilometri) e faticoso in groppa a un asino, dalla Galilea alla Giudea. 2) Egli condivide l’opinione (espressa tra gli altri dallo studioso ebreo Joseph Klausner e da Bruce Chilton), secondo cui gli evangelisti avrebbero volutamente cambiato il luogo della nascita di Gesù per evidenziare il suo legame con la famiglia di Davide, dalla quale, come promette la Scrittura (Mic 5,1; cf. Mt 2,5-6; Gv 7,42), doveva provenire il Messia. 3) Infine, sostiene Oshri, Betlemme di Galilea nell’antichità fu un fiorente villaggio, a differenza di Betlemme di Giuda, dove sono stati ritrovati pochi resti di abitazioni del tempo di Cristo.
Questi argomenti risultano deboli, se non infondati.
1) Solo dal nostro punto di vista può sembrare impraticabile affrontare lunghi viaggi a piedi in condizioni difficili, mentre allora, anche per le donne incinte, si trattava di una cosa del tutto normale. 2) Se i racconti evangelici sulla nascita di Gesù a Betlemme di Giuda dovevano servire a fini propagandistici (per favorire la conversione degli ebrei alla religione cristiana), è strano che gli antichi apologeti ebrei non cercassero di confutare la loro autenticità.
3) Betlemme di Giuda, come tanti altri villaggi di quel periodo (ad es. Nazaret), fu un piccolo centro con delle povere case, pertanto è difficile che vi si trovino oggi dei reperti archeologici significativi oltre alle grotte scavate nella roccia, che fungevano da scantinati, stalle o magazzini, e a volte venivano utilizzate anche a scopi abitativi.
A fronte di questo scarso materiale archeologico, che cosa offre di più Betlemme di Galilea? Gli scavi eseguiti negli anni 1992-2003 hanno portato alla luce i resti di un complesso monastico del VI secolo, con una grande chiesa, che fu poi distrutto probabilmente durante l’invasione persiana nel 614. Questo luogo di culto dimostra soltanto che nell’epoca bizantina a Betlemme di Galilea viveva una ricca comunità cristiana. È inesatto parlare di un presunto santuario della nascita di Gesù in questo luogo, anche perché non ne esiste alcuna traccia nelle fonti scritte o nelle memorie dei pellegrini. Dall’inizio del IV secolo sorgeva invece a Betlemme di Giuda una grande basilica di Costantino, costruita sopra la grotta venerata come quella della nascita di Gesù.
Tra queste supposizioni manca tra l’altro la risposta a una domanda di fondo: per quale motivo Giuseppe sarebbe andato con Maria, ormai vicina al parto, proprio a Betlemme di Galilea, se gli annunci dei profeti parlavano della nascita del Messia a Betlemme di Giuda? […]
A Betlemme è strettamente collegato il Libro di Rut, che racconta la vicenda di una famiglia ebrea del tempo dei Giudici (XII-XI secolo a.C.). «Erano Efratei, di Betlemme di Giuda» (Rt 1,2b). Quando il paese fu colpito da una carestia, Elimelech, sua moglie Noemi e i loro due figli dovettero lasciare Betlemme e si spostarono nella campagna di Moab. Ma dopo la morte del marito e dei figli, a Noemi non rimase altro che tornare a casa. Allora una delle due nuore, Rut, la protagonista principale del libro, nonostante fosse moabita, decise di accompagnare la suocera nel viaggio verso un paese straniero. «Esse continuarono il viaggio, finché giunsero a Betlemme…» (1,19a). «Esse arrivarono a Betlemme quando si cominciava a mietere l’orzo» (1,22b). Vicino alla città si trovava il campo di Booz, un potente e ricco parente del marito di Noemi. Quando dunque Rut si recò in questo campo per spigolare dietro ai mietitori, Booz si informò su di lei e, colpito dal suo gesto coraggioso, le venne in soccorso. Poco dopo, grazie all’ingegno delle due donne, Booz decise di sposare la moabita Rut, nonostante il divieto esplicito della Legge (Dt 23,4-5); in questo modo infatti avrebbe acquistato il diritto di riscattare il campo che apparteneva a Elimelech, il defunto marito di Noemi, e di assicurare al defunto una discendenza venuta a mancare con la morte dei figli. La transazione, raccomandata dalla Legge mosaica (cf. Lv 25,23-25: la legge del riscatto della terra; Dt 25,5-6: la legge del levirato), fu conclusa alla porta della città (Rt 4,1.11; cf. 3,11), che in quei tempi fungeva da piazza del mercato e da tribunale ed era quindi un luogo di incontro e di raduni ufficiali per gli abitanti (cf. Gen 34,20; Dt 21,19; Prv 31,23; Zac 8,16). Gli anziani della città, benedicendo la coppia di sposi, fecero a Booz questo augurio: «Procurati ricchezza in Efrata, fatti un nome in Betlemme!» (Rt 4,11b). In seguito Rut concepì e partorì un figlio, al quale fu dato il nome Obed. Egli generò Iesse, il padre di Davide. La genealogia che conclude il Libro di Rut (4,18-22) presenta la discendenza maschile della tribù di Giuda, a partire da suo figlio Perez fino a Davide.
Ma Betlemme si è guadagnata una fama particolare soprattutto come luogo di provenienza di Davide, la «sua città» (1Sm 20,6.28). È qui appunto che Dio mandò il profeta Samuele per consacrare re uno dei figli di Iesse il Betlemmita (16,1.18; 17,12.58: egli fu un Efraita da Betlemme di Giuda). […]
Grazie al suo fascino e grande coraggio, Davide divenne in breve tempo una figura di spicco nel regno. […] Una breve notizia su come si presentava Betlemme in quel periodo traspare da questa frase di Davide: «Se qualcuno mi desse da bere l’acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!». Tre prodi guerrieri di Davide si arrischiarono a compiere questo difficile compito; si aprirono un varco nell’accampamento filisteo e attinsero l’acqua dal pozzo di Betlemme per portarla a Davide. Egli tuttavia non ne volle bere e versò l’acqua in offerta al Signore; si rese conto infatti che per avere quest’acqua aveva messo a repentaglio la vita dei suoi uomini (2Sm 23,15-17).
La presenza della porta fa pensare che Betlemme fosse ben fortificata. Ma nonostante questa caratteristica che deponeva a suo favore, Davide non elevò la sua città a capitale. Davide avrebbe potuto infatti imitare Saul, che fece diventare il centro del regno Gibea (Gabaa), la sua città natale (1Sm 10,26; 13,2.16) che apparteneva alla tribù di Beniamino (si trovava infatti a nord di Gerusalemme, l’odierno Tell el-Ful). Invece quando divenne ufficialmente re, Davide si trasferì dapprima nella città levitica di Ebron (l’antica Kiriat-Arba) e da lì governò per sette anni. In seguito elesse capitale del suo regno Gerusalemme, da lui conquistata ai Gebusei (2Sm 5,6-9; 1Cr 11,4-9). Questo non solo perché Gerusalemme superava Betlemme quanto a dimensioni e ricchezza, ma soprattutto perché godeva un enorme peso politico, sociale e religioso. Gerusalemme, infatti, pur trovandosi nel territorio di Beniamino, fino ad allora non era stata occupata da nessuna delle tribù israelitiche; era perciò indipendente e la sua posizione centrale poteva inoltre facilitare il processo di riunificazione del regno. Fu inevitabile quindi che Betlemme passasse in secondo piano. […]
Dopo la morte di Salomone, figlio di Davide, ascese al trono Roboamo, figlio di Salomone, le cui capacità politiche non erano pari a quelle dei suoi predecessori. Il governo imprudente di questo re (circa il 931-914) causò la ribellione di Geroboamo, suo figlio, e la divisione del regno di Davide e Salomone in due Stati nemici e in forte competizione tra loro: il Regno del Nord (di Israele) con capitale Sichem e poi Samaria, e il Regno del Sud (di Giuda) con capitale Gerusalemme. Nel quinto anno del regno di Roboamo (927) la Palestina fu invasa dal faraone Sisach I, fondatore della XXII dinastia libica, che espugnò Gerusalemme e saccheggiò il palazzo reale e il Tempio (1Re 14,25-26; 2Cr 12,2-9). Anche molte altre città di Giuda caddero facilmente nelle mani dell’esercito egiziano. A ben poco servirono gli sforzi di Roboamo, che trasformò in fortezze alcune città di Giuda, tra cui Betlemme (2Cr 11,6), rafforzandovi i presidi militari e costruendo depositi di cibo e di armi. Anche se la Bibbia non dice nulla in proposito, si può tuttavia immaginare che di fronte all’invasione egiziana la piccola e meno difesa Betlemme abbia dovuto condividere la stessa sorte della vicina Gerusalemme.
È assai probabile che dopo questa drammatica esperienza Betlemme non sia riuscita a tornare al suo antico splendore. Quasi duecento anni dopo, infatti, il profeta Michea (seconda metà dell’VIII secolo a.C.) iniziò la sua celebre profezia messianica con queste parole: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola [la più piccola, secondo la traduzione greca dei Settanta] per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele» (Mic 5,1). Alcuni secoli più tardi l’evangelista Matteo, raccontando gli eventi legati alla nascita di Gesù a Betlemme, riprenderà questo oracolo profetico, modificandone leggermente il contenuto: «E tu, Betlemme, terra di Giuda, non sei davvero l’ultima delle città principali di Giuda: da te infatti uscirà un capo che sarà il pastore del mio popolo, Israele» (Mt 2,6). Questo passo di Matteo, che non corrisponde alla lettera né al testo ebraico né a quello greco dei Settanta, sembra essere una costruzione dell’evangelista, che vi ha fuso insieme due passi della Scrittura: Mic 5,1 e 2Sam 5,2; quest’ultimo parla di Davide che viene costituito a Ebron re di tutto Israele: «Il Signore ti ha detto: “Tu pascerai il mio popolo Israele, tu sarai capo d’Israele”». È probabile che Betlemme al tempo di Gesù avesse un aspetto non molto diverso da quello che aveva al tempo di Michea. Tuttavia, agli occhi di Matteo, che contemplava questa città sotto il profilo teologico, la sua importanza è cresciuta grandemente nel momento in cui in essa nacque il Messia atteso.