Agli inizi degli anni Ottanta si è costituita in Terra di Israele la Jerusalem Italian Jews Association (Associazione degli ebrei italiani di Gerusalemme), un’organizzazione no-profit con lo scopo di preservare la cultura religiosa e artistica italiana. Cuore dell’Associazione è il Museo Umberto Nahon, famoso perché ospita la sinagoga di Conegliano Veneto, trasportata a Gerusalemme nel 1952, operazione che la salvò dall’abbandono e dal rischio di distruzione. Umberto Nahon – ebreo livornese – non solo ha condotto quella delicata operazione, ma si è prodigato per il recupero di molti altri oggetti cultuali della tradizione ebraica italiana dopo la distruzione di molte comunità a causa della Shoah, la catastrofe nazista consumatasi durante la seconda guerra mondiale.
Il Museo di arte ebraica italiana, dalla sua apertura ad oggi, si è arricchito di numerosi e importanti reperti – frutto unicamente di donazioni – diventando il più importante Museo ebraico italiano nel mondo: raccoglie infatti oggetti rituali e di vita quotidiana, arredamenti sinagogali e molto altro ancora provenienti da comunità italiane sparse in tutta la penisola. Spesso i reperti lignei che arrivano necessitano di restauro, e per questo il Museo collabora con un centro di restauro del legno dove lavorano restauratori che si sono formati in Italia.
Ed ecco la novità: da poco tempo è stata designata come conservatrice di tale importante patrimonio artistico e religioso Andreina Contessa, ricercatrice presso l’Istituto di Storia dell’arte dell’Università Ebraica di Gerusalemme, che assieme al marito Raniero Fontana – noto in Italia per alcuni suoi saggi sull’interpretazione ebraica della Scrittura – si è trasferita in Israele da circa vent’anni. Il suo intento è quello di riorganizzare il Museo facendo risaltare l’aspetto regionale che caratterizza l’ebraismo italiano: una sorta di percorso fra le città italiane che faccia rivivere, attraverso i diversi reperti, le particolarità delle singole comunità, sia a livello artistico che religioso. Molte di queste oggi non ci sono più, le località ove erano ubicate sono ricordate nella valle delle comunità distrutte a Yad wa-Shem, il memoriale della Shoah. Come in molte altre zone d’Europa, gli ebrei sopravvissuti ai campi di sterminio si sono spesso riuniti e riorganizzati in alcune grandi città diverse da quelle di provenienza, e anche per questo è stato importante evitare che molti segni della cultura ebraica italiana andassero perduti o distrutti.
Museo e sinagoga, tra loro collegati, promuovono diverse iniziative culturali costituendo il centro spirituale degli ebrei – sia religiosi che laici – di origine italiana. I servizi religiosi si tengono regolarmente di sabato e nelle festività secondo l’antico Minhag Bnei Roma, la «Tradizione dei Figli di Roma», uno dei più antichi rituali nel giudaismo, strettamente correlato a quello prevalente in Terra d’Israele durante il periodo del Secondo Tempio.
La comunità ebraica italiana a Gerusalemme è numericamente un piccolo gruppo rispetto ad altri decisamente più numerosi, ma custodisce una memoria di grande valore sia per l’ebraismo italiano attuale che per la Terra di Israele: il legame fra questa Terra e la diaspora è di vitale importanza, così come «ricordare e non dimenticare» è un elemento fondamentale per una tradizione dove il ricordo è un segno di fede e di appartenenza, nella consapevolezza che è importante ricordare soprattutto ciò che è fondamentale per le generazioni successive.