Al di là delle immagini televisive che abbiamo visto tutti, che cosa resta in Medio Oriente della tre giorni di Berlusconi in Israele e Palestina? Dai siti dei quotidiani israeliani e palestinesi emerge un'immagine un po' diversa rispetto a quella raccontata dai media italiani. Soprattutto rispetto al peso dato ad alcune delle parole pronunciate dal premier italiano.
Al di là delle immagini televisive che abbiamo visto tutti, che cosa resta in Medio Oriente della tre giorni di Berlusconi in Israele e Palestina? Dai siti dei quotidiani israeliani e palestinesi emerge un’immagine un po’ diversa rispetto a quella raccontata dai media italiani. Soprattutto rispetto al peso dato ad alcune delle parole pronunciate dal nostro premier.
Partiamo da Israele: qual è stato il titolo vero di questa visita per i quotidiani di Gerusalemme? Lo prendiamo da Yediot Ahronot: «Berlusconi alla Knesset: Goldstone ha tentato di incriminarvi». Nel discorso di ieri mattina, il passaggio dedicato al rapporto Onu sulla guerra di Gaza era indubbiamente musica per le orecchie di Israele. Perché Berlusconi non si è limitato a dire – come hanno fatto anche tanti altri leader – che Israele aveva il diritto di difendersi. Ha accusato apertamente di parzialità il giudice Goldstone che – su mandato dell’Onu – ha condotto un’indagine sui crimini di guerra che sarebbero avvenuti a Gaza. Una posizione molto netta. Poi – però – «riaggiustata» nel pomeriggio a Betlemme, durante l’incontro con Abu Mazen: parlando ai palestinesi Berlusconi ha infatti accostato le sofferenze della Shoah a quelle della popolazione civile di Gaza. E questa era indubbiamente musica per le orecchie palestinesi.
Il risultato è che questa mattina il «Berlusconi bifronte» è criticato sia dall’agenzia palestinese Maan sia da un quotidiano israeliano come Maariv. La testata araba parla di «messaggi politici contrastanti»; ancora più duro è l’editoriale del quotidiano israeliano: «I nostri politici – scrive Maariv – hanno riservato a Berlusconi onori imperiali, ci mancava solo che gettassero petali di rosa ai suoi piedi, ma che delusione: ieri appena ha varcato la Linea Verde si è accodato ai palestinesi con il suo paragone tra Gaza e l’Olocausto».
Sempre oggi – sul Jerusalem Post – compare, poi, un altro affondo, questa volta sul sogno di vedere Israele nell’Unione Europea. Anche Herb Keinon ironizza sugli applausi a scena aperta riservati dai deputati israeliani al premier italiano. «Sapevano che sono solo parole…», commenta il giornalista, spiegando molto bene per quali ragioni in realtà Israele non ha alcun interesse a entrare nell’Unione Europea: «Ve lo vedete il nostro Paese che – in barba a tutte le questioni sulla sicurezza – accetta la libera circolazione di tutti gli europei? E – con tutto quello che ha significato la nostra indipendenza dopo duemila anni di esilio – rinunceremmo a parte della sua sovranità per sottostare a un’altra organizzazione?».
C’è infine la questione degli insediamenti in Cisgiordania. Berlusconi ne aveva parlato nell’intervista rilasciata ad Haaretz alla vigilia della visita. «Lasciatemelo dire da amico – aveva dichiarato -: la politica della colonizzazione è errata». È singolare – però – che a questo tema il presidente del Consiglio italiano non abbia dedicato neanche una parola nel suo intervento alla Knesset. Come pure non ha detto nulla sulla questione di Gerusalemme, il vero nodo intorno a cui negli ultimi mesi si è arenato il processo di pace. Proprio in queste settimane è altissima la tensione nel quartiere di Sheikh Jarrah, dove alcuni gruppi di coloni stanno cercando di sfrattare un nucleo di palestinesi di Gerusalemme Est. Venerdì scorso a una manifestazione contro questo abuso era presente anche lo scrittore David Grossman che ha accusato la destra «di distruggere con queste azioni ogni possibilità di un accordo di pace». Il Dipartimento di Stato americano è intervenuto più volte negli ultimi mesi su questo tema; come è possibile che l’Italia non abbia nulla da dire in proposito?
Alla fine siamo i «migliori amici» solo perché diciamo a ciascun interlocutore quello che vuole sentire da noi. Non è affatto detto che questo sia il modo migliore per promuovere la pace.
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