Nella semioscurità la luce illumina il tabernacolo. L’attenzione si concentra ben presto sulla nuda pietra antistante l’altare, cinta da una ghirlanda in ferro battuto e argento. La poca luce, l’ombra soffusa ci riporta alla potenza delle tenebre che avvolsero Gesù di Nazaret in quell’ora. Due grandi mosaici nelle navate laterali (trasposizione in tessere di due grandi tele di Mario Barberis) rappresentano con grande drammaticità gli eventi che si svolsero in questo luogo: «il bacio del traditore» e l’«Ego sum» (Io sono) di Gesù agli «sgherri che cadono a terra».
Siamo nella basilica dell’Agonia al Getsemani, uno dei luoghi più significativi di Gerusalemme, sul pendio del Monte degli Ulivi, a oriente della valle del Cedron. Come prologo alla Passione l’evangelista Giovanni pone l’incomparabile preghiera che Gesù rivolge al Padre: «Padre, è giunta l’ora, glorifica il tuo Figlio, perché il Figlio glorifichi te» (Gv 17,1). Tutta la preghiera è essenzialmente un atto rivelativo dell’amore del Padre verso il Figlio e del Figlio verso il Padre e del loro amore verso gli uomini. Terminata la preghiera, l’evangelista scrive: «Gesù andò con i suoi discepoli di là dal torrente Cedron, dove c’era un giardino nel quale entrò con i suoi discepoli» (Gv 18,1). È proprio da questo luogo che inizia la Passione di Gesù.
I luoghi del Monte connessi alla Passione sono tre: la grotta del tradimento, il giardino degli ulivi e la basilica dell’agonia, l’uno vicino all’altro ma distinti. L’uso religioso dell’attuale grotta è testimoniato dai tanti graffiti lasciati sulle pareti dai pellegrini. La relazione del luogo con la memoria dell’agonia di Gesù si deve a un’iscrizione in latino che si trova, guardando l’altare, sulla parete vicina a sinistra: «Hic rex (san)ctus s(u)davit sanguinem… Sepe morabatur Dominus Christus… Mi Pater, si vis, transfer calicem istum a me – “Qui Cristo re sudò sangue… Spesso Cristo Signore vi dimorava… Padre mio, se vuoi, allontana questo calice da me». (Francesco Quaresmi).
La familiarità di Gesù con un luogo di riferimento del Monte degli Ulivi è attestata da Luca 21, 37: «Durante il giorno insegnava nel tempio, la notte usciva e passava la notte sul monte detto degli ulivi». Lo stesso evangelista racconta che, dopo la cena al Sion, Gesù «andò, come al solito, al Monte degli Ulivi, e anche i discepoli lo seguirono» (22,39). Quel luogo doveva essere un punto di ritrovo anche per i discepoli, visto che Giovanni scrive: «Anche Giuda, che lo tradiva, conosceva quel luogo, perché Gesú si era spesso riunito là con i suoi discepoli» (18,2). «Di solito» e «spesso», dunque, Gesù se ne andava in un luogo del Monte, dove si riunivano anche i discepoli.
Il nome Getsemani corrisponde all’aramaico gat semãnê che significa «pressoio per olio». All’interno della grotta vi si trova anche una cisterna e in una nicchia, secondo l’archeologo francescano padre Virgilio Corbo, che studiò il luogo, venivano depositate le travi che sostenevano i pesi per schiacciare le olive.
La tradizione del luogo è molto antica, come dimostra la testimonianza di Eusebio di Cesarea che, nel suo Onomastico (295 d.C.) dei luoghi biblici, descrive il Getsemani come il luogo «dove Cristo si recò a pregare prima della sua Passione. Si trova nei pressi del Monte degli Ulivi, e tuttora vi accorrono i fedeli per pregarvi». Girolamo, riprendendo nel 390 circa il testo di Eusebio, ricorda che, ai suoi tempi, sul luogo si trovava una chiesa: «Nunc ecclesia desuper aedificata est».
La notizia è confermata dalla pellegrina Egeria (400 ca. d.C.), a cui si deve la prima testimonianza della liturgia che celebrava la memoria del luogo: «Quando incomincia il canto del gallo si discende dall’Imbomon (Ascensione) cantando inni e si giunge a quel medesimo luogo dove il Signore pregò, come è scritto nel Vangelo: “Si allontanò quanto un tiro di pietra e si mise a pregare et cetera”. In quel luogo vi è una chiesa elegante (In eo enim loco ecclesia est elegans). Il Vescovo vi entra con tutto il popolo, si dice un’orazione adatta al luogo e al giorno; si dice anche un inno adatto e viene letto quel brano del Vangelo dove (Gesù) disse ai suoi discepoli: “Vigilate, per non entrare in tentazione”. Si legge il brano per intero e si fa di nuovo un’orazione».
La chiesa bizantina fu molto probabilmente costruita tra l’inizio del regno di Teodosio (379-393) e la fine dell’episcopato di Cirillo di Gerusalemme (348-386), quindi, in base alle testimonianze di Girolamo e di Egeria, tra il 379 e il 388. Sono gli Annali di Eutichio, patriarca di Alessandria, che riferiscono dell’edificazione della chiesa di «Gismanie». Dalla medesima fonte apprendiamo che la prima chiesa ad essere distrutta dai persiani nel 614 fu proprio la chiesa del Getsemani, i mosaici scoperti, infatti, portano tracce di incendio. Negli Annali si legge che la chiesa rimase in rovina fino al decimo secolo. Nel 1102 Sevulfo ricorda l’esistenza di un oratorio sul luogo dove il Signore pregò. Un decennio più tardi (1112) vi sorgeva la chiesa del Salvatore, che, con l’arrivo del Saladino (1187) conobbe lo stesso destino di quella bizantina. Da quei giorni i pellegrini parleranno della chiesa del Salvatore solo per ricordarne le rovine («Vicende storiche della chiesa dell’Agonia al Getsemani», in La Terra Santa 1921 n. 2, 24-25).
La tradizione associa il giardino degli ulivi alla preghiera di Gesù. Dopo la celebrazione della cena pasquale, l’annuncio del tradimento di un discepolo e la predizione del rinnegamento di Pietro, una volta giunti al luogo del Monte, Gesù «disse loro: “Pregate, per non entrare in tentazione”. Poi si allontanò da loro circa un tiro di sasso e, inginocchiatosi, pregava: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice! Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà”. Gli apparve allora un angelo dal cielo a confortarlo. In preda all’agonia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra. E, rialzatosi dalla preghiera, andò dai discepoli e li trovò che dormivano per la tristezza. E disse loro: “Perché dormite? Alzatevi e pregate, per non entrare in tentazione”» (Lc 22, 40-46).
Il pellegrino Teodosio (circa 530 d.C.) annota: «Là c’è la valle di Giosafat, dove Giuda tradì il Signore… Là il Signore lavò i piedi ai discepoli e fece la cena… Ora molte persone vengono qui e mangiano con devozione i loro cibi… e accendono lumi là dove il Signore lavò i piedi agli apostoli, perché quello è il luogo della grotta».
Al tradimento fa riferimento qualche decennio più tardi l’Anonimo piacentino (570 d.C.): «Scendendo dal Monte Oliveto nella valle del Getsemani, nel luogo dove il Signore fu tradito…».
Già qualche secolo prima (333 d.C.), tuttavia, il pellegrino anonimo di Bordeaux parla della roccia del tradimento, probabilmente riferendosi allo stesso luogo dei due precedenti pellegrini: «Andando da Gerusalemme… per salire sul Monte Oliveto c’è la valle che si chiama di Giosafat. Sul lato sinistro… c’è anche la roccia dove Giuda Iscariota tradì Cristo». Seguiamo ancora l’evangelista Luca: «Mentre (Gesù) parlava ancora, ecco una folla; e colui che si chiamava Giuda, uno dei dodici, la precedeva, e si avvicinò a Gesú per baciarlo. Ma Gesù gli disse: “Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo?” » (22,47-48).
La denominazione «orto o giardino degli ulivi» dipende senz’altro dal fatto che il luogo è compreso nell’area del Monte degli Ulivi, anche se, alla fine del 1300 in quel piccolo recinto oggi conosciuto con quel nome, non c’erano olivi. Testimonianze del diciassettesimo secolo parlano di sette-otto piante di olivo, segno che il luogo collegato alla memoria non era esteso ed era ben delimitato.
L’acquisto dell’area del Getsemani, che comprende anche quella parte antistante il santuario al di là della strada nella valle del Cedron, fu un’operazione lunga e complessa, sintetizzabile in 29 date che vanno dal 9 novembre 1661 al marzo del 1905, quando per 57 mila franchi, gli armeni cedettero ai frati il terreno a sud dell’Orto. Nel novembre del 1661 «la S. Custodia comprò per mezzo dei suoi dragomanni 14 chirati (il chirato è la ventiquattresima parte di una proprietà – ndr) e cinque sesti di chirato dell’Orto del Getsemani dai villani di Siloe». Interessante sapere che, dopo l’acquisto di un altro chirato e mezzo (dell’Orto) il 5 febbraio 1662, nonostante la mancanza di qualche documento legale di proprietà per un altro chirato e due terzi, «tutto l’Orto del Getsemani era in possesso dei Francescani, e ne sborsavano annualmente una certa tassa al legato pio della scuola di Salahie, prevedendo i Religiosi che altri acquistassero il terreno limitrofo». Altri diciotto chirati «immediatamente a mezzogiorno dell’Orto» passarono nelle mani della Custodia il 2 maggio 1681, dove «dopo due secoli, fu trovato il vero luogo dell’Agonia di Gesù, ove ora sorge l’attuale Basilica» («I faticosi e progressivi acquisti per il sacro Orto di Getsemani e dintorni fatti dalla Custodia di Terra Santa», La Terra Santa 1924 n. 5, 147-148).
La Custodia di Terra Santa, nel 1924, diede mandato all’architetto Antonio Barluzzi (1884 – 1960) di costruirvi una chiesa (vedi box a p. 52). In un primo tempo Barluzzi pensò di erigerla su quanto rimaneva del periodo crociato, intendendone rispettare i resti e le dimensioni. Di quella chiesa rimanevano le tre absidi costruite su tre rocce, che sono i tre luoghi dove la tradizione vuole che Gesù si sia inginocchiato. Su quella centrale era stato elevato l’altare.
Nel corso dei lavori vennero alla luce le rovine di una chiesa bizantina che si rivelò essere la chiesa d’epoca teodosiana. La qualità dei materiali impiegati e la fattura dei ritrovamenti, tra cui un capitello e parti dei mosaici del pavimento, rivelarono quanto fosse davvero «elegante» la chiesa visitata da Egeria.
La grande scala d’accesso al santuario fu però terminata solo nel maggio del 1959, così come la sistemazione del muro perimetrale prospiciente alla strada.
La Custodia potè effettuare i lavori, dopo aver trovato un accordo con le autorità amministrative del tempo. Nel corso del 1958 il municipio eseguì i lavori di sistemazione della strada, a cui la Custodia contribuì cedendo parte dell’Orto della valle del Cedron e versando «una notevole contribuzione pecuniaria» («Il Getsemani dopo gli ultimi restauri», La Terra Santa, agosto – settembre 1959, p. 241).