A Gerusalemme le feste religiose degli uni si intrecciano con quelle degli altri. In questi giorni vengono a sovrapporsi la Pasqua ebraica e quella cristiana. Proprio mentre le tensioni politiche sono tornate a essere molto alte in Terra Santa. Vale la pena - allora - di volgere lo sguardo verso l'alto, per trovare una parola di speranza nel cammino verso la pace.
Come spesso accade a Gerusalemme le feste religiose degli uni si intrecciano con quelle degli altri. Così, in questi giorni, vengono a sovrapporsi la Pasqua ebraica (iniziata lunedì sera con il Seder, la cena rituale che ricorda la liberazione dall’Egitto) e quella cristiana, che quest’anno (i diversi riti celebrano lo stesso giorno). Ed è interessante che tutto questo avvenga proprio in un momento in cui le tensioni politiche sono tornate a essere molto alte in Terra Santa. Vale proprio la pena – allora – di volgere lo sguardo verso l’alto, per trovare nelle religioni – spesso indicate come motivo di conflitto – una parola di speranza nel cammino verso la pace.
È questo – ad esempio – l’atteggiamento che i capi delle Chiese cristiane di Gerusalemme suggeriscono nel loro messaggio in occasione della Pasqua. «Conosciamo la forza della disperazione – scrivono sulla situazione di oggi dei cristiani in Terra Santa i patriarchi e vescovi delle comunità greco-ortodosse, latine, armene, siriache, melchite, anglicane, luterane -. Conosciamo il potere del male. Conosciamo la forza dei "principati e delle potestà" di questo mondo, promotori di agende di divisione e di oppressione che minacciano il popolo di Dio. Insieme a voi, cristiani di Terra Santa, conosciamo il potere del peccato e della morte. Ma conosciamo anche il potere della Risurrezione. Conosciamo la forza di Dio che porta speranza oltre la disperazione. Conosciamo la forza di Dio in Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore, la forza di scegliere il perdono e l’amore per vincere il male. Conosciamo la potenza di Dio in Cristo per affrontare questi stessi "principati e potestà" per promuovere la fede, il rispetto reciproco, la compassione e il coraggio di dire la verità a beneficio di tutto il popolo di Dio. Conosciamo la forza del perdono dei peccati per rinnovare i rapporti all’interno delle famiglie e nella famiglie delle nazioni. Conosciamo la forza del dono della vita eterna per tutti coloro che credono».
Anche dal mondo ebraico – però – in queste ore è venuta una riflessione molto bella sul rapporto tra la Pasqua e la situazione di oggi. L’ha scritta Bradley Burston nella rubrica che tiene sul sito di Haaretz. È una riflessione sulla Gerusalemme di oggi alla luce del racconto dell’Esodo che ogni ebreo osservante rilegge nel Seder. E sono parole molto belle che mi limito a tradurre.
«Abbiamo costruito questa città – scrive Burston -. L’abbiamo costruita nella libertà. Abbiamo costruito questa Gerusalemme, questa fede, questo popolo, sull’idea che Dio non può essere visto o toccato, che Dio non può essere costruito con le pietre, né distrutto dal fuoco, né proclamato da un popolo solo, né tradotto nel linguaggio delle mappe, né usato come una bomba per distruggere gli altri popoli, malignare le altre fedi o negare agli altri questa città.
Abbiamo costruito questa città con coraggio. L’abbiamo costruita con quella fede che ci ha permesso di lasciare dietro le spalle la schiavitù, di lasciarci dietro tutto ciò che conoscevamo, per addentrarci in un mare in cui solo un miracolo poteva far sì che il muro d’acqua non cadesse su di noi facendoci annegare.
E noi crediamo ancora in questa città, nonostante tutto il sangue e le tenebre e il tragico sacrificio dei figli, di fronte alle parole e ai gesti bestiali di coloro che pretendono di avere la licenza sul nome di Dio. Abbiamo costruito questa città, e dopo di noi i cristiani l’anno costruita, e dopo di loro i musulmani l’hanno costruita. Ma proprio questa fatica durata ormai tremila anni e quanto questo Seder ci insegna: alla fine sei Tu o Dio che hai costruito questa città. Non è nostra, come non è loro e nemmeno di quegli altri. È la città dell’Unico Dio che è tutto per noi. (…)».
«Quest’anno a Gerusalemme, mentre riempiamo la quarta coppa, leggiamo in maniera diversa le parole del Seder. Sh’foch hamatcha – lasciamoci dietro alle spalle il nostro astio».
«La persona liberata che è in noi è giustamente spaventata dal cammino verso una Gerusalemme condivisa. Quando questo nuovo mare si apre davanti a noi lasciando appena intravedere il cammino, vediamo anche le mura d’acqua da entrambe le parti che minacciano di cadere su di noi e di far affogare quanti non moriranno già schiacciati. E la spiaggia che vediamo sulla riva opposta non è la Città di Dio ma un luogo selvaggio».
«Ma è solo la persona liberata dentro di noi che può compiere il primo passo in questo cammino incerto. E e avremo il coraggio di farlo, per la prima volta capiremo che cosa vuol dire essere liberi».
«L’shana haba’ah B’Yerushalayim Ha’Bnuyah. L’anno prossimo in una Gerusalemme ricostruita».
Credo che non esistano parole migliori per un augurio in questa Pasqua 2010/Pesach 5770.
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