Alla fine, chi ha vinto e chi ha perso nella vicenda della Freedom Flotilla? Un qualsiasi quotidiano israeliano racconta che il governo Netanyahu è uscito da questa vicenda malconcio. Tuttavia la realtà è molto più complessa di quanto sembri e non si può dire che abbiano vinto i palestinesi. Raccogliamo il punto di vista di Amira Hass.
(Milano) – Ma alla fine, chi ha vinto e chi ha perso nella vicenda della Freedom Flotilla? Basta prendere in mano qualsiasi quotidiano israeliano per constatare il fatto che il governo Netanyahu sia uscito da questa vicenda malconcio. Tanto è vero che per mettere una pezza adesso è stato costretto ad allentare l’embargo a Gaza almeno per quel che riguarda i generi alimentari. Dunque l’operazione contro la nave turca alla fine si è rivelata un boomerang e hanno vinto i palestinesi? In molti oggi lo pensano. Purtroppo, però, la realtà è molto più complessa di quanto sembri.
Mi ha colpito la lucidità del commento di Amira Hass. Per chi non la conosce questa giornalista del quotidiano israeliano Haaretz è una delle osservatrici più attente di quanto si muove nel campo palestinese. Per molto tempo è stata l’unica giornalista israeliana a vivere a Ramallah, tutti la conoscono nei Territori. E ogni volta che il sito di Haaretz pubblica un suo articolo i feedback si riempiono di commenti di lettori che le danno senza mezzi termini della traditrice. Dunque la sua è una voce al di sopra di ogni sospetto. Qual è stato, dunque, il giudizio di Amira Hass sull’operazione Freedom Flotilla? Alla fine – sostiene – tutta questa vicenda ha fatto il gioco di Israele. Sì – sostiene la giornalista nel suo commento intitolato Non di solo cemento -, adesso il blocco intorno a Gaza verrà un po’ allentato. E la pressione dell’opinione pubblica internazionale ha già permesso ad Hamas di ottenere un risultato, la riapertura da parte dell’Egitto del valico di Rafah. Ma alla fine tutto questo non mette in discussione il problema vero: quello della separazione di Gaza dalla Cisgiordania.
«Involontariamente – scrive Amira Hass – gli organizzatori della spedizione marittima e i media hanno focalizzato l’attenzione su aspetti che non mettono affatto in discussione l’essenza del blocco imposto da Israele a Gaza. Vale a dire la negazione del diritto e la repressione della volontà degli abitanti di Gaza di essere una parte attiva, permanente e naturale della società palestinese. Molto prima che Israele proibisse l’ingresso del cemento nella Striscia, ha proibito agli abitanti di Gaza di studiare in Cisgiordania. Passo dopo passo Israele ha sviluppato delle restrizioni draconiane alla libertà di movimento dei palestinesi, finché non è arrivata a dichiarare che ogni abitante di Gaza in Cisgiordania è un alieno e un infiltrato. È questo il tipo di proibizioni essenziali che vanno affrontate. Quelle che bisognerebbe spiegare a Erdogan e ad Obama». La questione di Gaza non è solo un problema umanitario, dice in sostanza Amira Hass. È ricominciare a pensare a un futuro per la Striscia la vera posta in palio.
E che i contraccolpi della crisi di questi giorni sulla società palestinese siano molto meno innocui di quanto sembri lo dice anche la notizia arrivata ieri da Ramallah: dopo essere andati avanti per mesi a dire che il 17 luglio si sarebbe votato per le elezioni municipali (avevano addirittura compilato le liste degli elettori) il governo di Fayyad ha deciso di posticipare a tempo indeterminato anche questo voto. È l’ennesima sconfitta per la democrazia nei Territori: con un presidente che resta in carica nonostante il suo mandato sia scaduto da più di un anno, un’Assemblea legislativa che non si riunisce dal 2006, un accordo tra le fazioni che nonostante le infinite mediazioni non arriva mai, le elezioni municipali dovevano essere l’occasione per avere almeno qualche indicazione sul consenso. È vero, Hamas aveva già dichiarato che a Gaza non si sarebbe votato, ma almeno in Cisgiordania si sarebbe potuto provare a capire chi rappresenta chi. Invece non se ne farà nulla. In teoria il governo di Ramallah ha giustificato l’annullamento delle elezioni con la necessità di non isolare ulteriormente Gaza. Ma la verità è che, dopo quanto successo nell’ultima settimana, Fatah si sente più debole.
Benjamin Netanyahu sarà anche in difficoltà. Ma non è che chi ha a cuore il futuro della Palestina oggi se la passi molto meglio di lui.
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