Il blocco delle merci che via terra possono arrivare a Gaza diventerà meno ferreo. La notizia di ieri ha finalmente portato una boccata di ragionevolezza nella vicenda innescatasi con il dramma della Freedom Flottilla. Ma la questione Gaza è tutt’altro che chiusa. E scalda gli animi anche nel villaggio modello di Nevé Shalom-Wahat al Salaam.
(Milano) – La notizia dell’allentamento della severità del blocco delle merci che via terra possono arrivare a Gaza ieri ha finalmente portato una boccata di ragionevolezza nella vicenda innescatasi con il dramma della Freedom Flottilla. Ma la questione Gaza è tutt’altro che chiusa. E allora può essere istruttivo riflettere su una vicenda avvenuta in questi giorni nel posto apparentemente più lontano da Gaza, il villaggio di Nevé Shalom-Wahat al Salaam.
Come penso molti sappiano Nevé Shalom/Wahat al Salaam è il villaggio sulla collina fondato negli anni Settanta dal domenicano padre Bruno Hussar dove arabi ed ebrei vivono insieme in condizione di parità. E infatti il nome in arabo e in ebraico significa proprio «Oasi di pace» ed è una citazione tratta da un versetto di un salmo. Nevé Shalom-Wahat al Salam è una grande testimonianza di pace: migliaia di studenti arabi ed ebrei vi sono passati in tutti questi anni per partecipare a percorsi di educazione alla pace. E anche tante altre ong che instancabilmente provano a tessere percorsi di dialogo tra israeliani e palestinesi spesso vanno a incontrarsi proprio lì. Bene, ma che cosa c’entra con Gaza e la Freedom Flottilla?
C’entra, perché – come ogni tanto accade – anche a Neve Shalom/Wahat al Salaam la vicenda della Mavi Marmara ha scaldato gli animi. In risposta all’attacco alla Freedom Flottilla i responsabili del villaggio hanno esposto uno striscione in arabo, in ebraico e in inglese in cui si condanna l’accaduto dicendo che «gli abitanti di Nevé Shalom/Wahat al Salaam protestano per l’uccisione degli attivisti e chiedono la revoca immediata dell’embargo a Gaza». Non tutti gli ebrei che abitano nel villaggio si sono, però, riconosciuti in questa posizione. E così ne è nata una polemica interna. Che è però subito rimbalzata sulle pagine on line di Arutz Sheva, l’agenzia di informazione della destra israeliana. Dove il tono è evidentemente diventato: vedete? Anche il villaggio dove dovremmo abitare insieme non funziona. Basta un fatto come questo per far saltare tutto.
Io credo – al contrario – che la grandezza di Nevé Shalom/Wahat al Salaam stia proprio qui. E che il limite risieda invece in un certo modo di presentare questo tipo di esperienza. In troppi ne hanno fatto una realtà «neutra» in cui ci si isola dal contesto e dunque si riesce a fare la pace. Ma chi è stato al villaggio sulla collina sa che non è affatto così: è un posto dove il conflitto non è sparito. Semplicemente si prova ad affrontarlo davvero, mettendo ciascuno sul tavolo le proprie ragioni. È così che si costruisce la pace.
Si litiga sulla Freedom Flottilla a Nevé Shalom/Wahat al Salaam e forse è istruttivo anche per noi, così sempre abituati a giudicare tutto in modo manicheo: da una parte il bene dall’altra il male. Ci si scontra anche animatamente nell’«oasi di pace». Ma siamo sicuri che anche questo scontro finirà come sempre in questi trent’anni qui è accaduto: provando ciascuno a farsi carico delle posizioni dell’altro.
Imparare a vivere il conflitto senza per questo demonizzare l’altro: questa è la fatica vera di chi prova a costruire la pace Il giorno che sapremo farlo davvero allora avremo percorso sul serio il primo passo sulla via della pace.
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