Storie, attualità e archeologia dal Medio Oriente e dal mondo della Bibbia
Rimanere poveri non è stato facile neppure per i primi compagni di san Francesco. Una condizione che il Santo considera l'unica capace di condurre spediti verso il Regno dei cieli.

Come forestieri e pellegrini

padre Giorgio Vigna ofm
25 giugno 2010
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Come forestieri e pellegrini
Luigi Crosio, Il bicchierino di benvenuto al questuante (dettaglio), Museo francescano dell'Istituto storico dei cappuccini, Roma

«Non volevamo avere di più», a parte gli indispensabili indumenti e dopo aver lasciato tutto quanto i frati dei primordi avevano; «Eravamo idioti e sottomessi a tutti» (Testamento 16-17.19 /FF 117.118). Con queste espressioni, Francesco insegnava e ricordava i tratti essenziali della Fraternità: la povertà e la minorità, cioè il «disarmo» con cui egli e i suoi compagni affrontavano il quotidiano del vivere personale e dello stare nella società.

Poco più avanti, nello stesso Testamento, Francesco ritorna sullo stesso tema, quasi esemplificando: «Si guardino i frati di non accettare assolutamente chiese, povere abitazioni e quanto altro viene costruito per loro, se non fossero come si addice alla santa povertà, che abbiamo promesso nella Regola, sempre ospitandovi come forestieri e pellegrini.

Comando fermamente per obbedienza a tutti i frati che, dovunque si trovino, non osino chiedere lettera alcuna [di privilegio] nella curia romana, né personalmente né per interposta persona, né per una chiesa né per altro luogo né per motivo della predicazione, né per la persecuzione dei loro corpi; ma, dovunque non fossero accolti, fuggano in altra terra a fare penitenza con la benedizione di Dio» (vv. 24-26 /FF 122-123).

Vi sono indicati essenzialmente due aspetti concreti: il fermo rifiuto della proprietà di edifici, quelli sacri compresi, in nome della povertà (Regola non bollata VII,13 /FF 26; Regola bollata VI,1-2 /FF 90, ripresa esattamente da S. Chiara nella sua Regola VIII,1-2; FF 2795) e dello stile di provvisorietà e di itineranza che deve caratterizzare la vita francescana; il comando altrettanto fermo di evitare il ricorso a quelle che oggi vengono chiamate «raccomandazioni» o anche solo ai privilegi, compresi quelli che potrebbero essere motivati dalla salvaguardia propria e dalla missione. Ahimè, è sotto gli occhi di tutti che ben diversamente è andata la storia francescana, a dimostrazione di quanto il possesso e il potere sono tentazioni talmente radicate nel cuore di ogni uomo da seguirlo fino alla morte… E altresì a dimostrazione che la vita di Francesco d’Assisi («l’unico dopo il primo», Y.M. Congar), per la sua altissima profondità evangelica, ha colto il luogo dell’utopia di Gesù di Nazaret.

La Leggenda perugina (una biografia della prima metà del XII sec.) è un buon esempio di come fosse interpretata già in quel tempo la questione del possesso degli edifici: «Francesco fece scrivere nel suo Testamento che tutte le abitazioni dei fratelli devono essere fatte di fango e di legno, in segno di povertà e umiltà e che le chiese che si fabbricano per loro siano piccole. (…) Noi, che eravamo con lui quando compose la Regola e quasi tutti gli altri suoi scritti, testimoniamo che egli fece inserire nella Regola e negli altri scritti delle prescrizioni alle quali alcuni frati, soprattutto i superiori, fecero opposizione. Ma proprio le cose che provocarono contrasti tra i frati e Francesco mentre egli era in vita, adesso che è morto sarebbero molto utili a tutta la fraternità. Siccome il Santo temeva moltissimo lo scandalo, accondiscendeva suo malgrado al volere dei fratelli.

Tuttavia lo udimmo sovente esclamare: “Guai a quei frati che si oppongono a quello che io so essere volontà di Dio per il maggior bene dell’Ordine, sebbene io mi pieghi di malincuore alle loro volontà”» (77 /FF 1631). È dunque evidente che, fin dai primordi, abitazioni e chiese erano nel comprensibile mirino della strutturazione della Fraternità.

Povertà, non possesso, provvisorietà: ecco una bella sintesi di S. Bonaventura: «Spesso, poi, discorrendo della povertà, applicava ai frati questo passo del Vangelo: “Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo hanno il nido; ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. Per questo motivo ammaestrava i frati a costruirsi casupole poverelle, alla maniera dei poveri, ad abitare in esse non come in casa propria, ma come in case altrui, da pellegrini e forestieri.

Diceva che il codice dei pellegrini è questo: raccogliersi sotto il tetto altrui, sentir sete della patria, transitare in pace. Dava ordine, talvolta, ai frati di demolire le case che avevano costruite o di lasciarle, quando notava in esse qualcosa che, o quanto alla proprietà o quanto al lusso, urtava contro la povertà evangelica.

Diceva che la povertà è il fondamento del suo Ordine, la base principale su cui poggia tutto l’edificio della sua Religione, in modo tale che, se essa è solida, tutto l’Ordine è solido; se essa si sfalda, tutto l’Ordine crolla» (Leggenda maggiore VII,2-3 /FF 1120-1121).

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