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Ebrei, quale identità?

Terrasanta.net
30 giugno 2010
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Ebrei, quale identità?

Chi è un ebreo oggi? E a chi spetta la cittadinanza israeliana? Su questi temi il numero di maggio-giugno 2010 del bimestrale Terrasanta ospita una riflessione del gesuita di origini ebraiche padre David Neuhaus, vicario del patriarca latino di Gerusalemme per i cattolici ebreofoni in Israele. Ve ne proponiamo qui ampi stralci.


(Milano) – Chi è un ebreo oggi? E a chi spetta la cittadinanza israeliana? Su questi temi il numero di maggio-giugno 2010 del bimestrale Terrasanta ospita una riflessione del gesuita di origini ebraiche padre David Neuhaus, vicario del patriarca latino di Gerusalemme per i cattolici ebreofoni in Israele. Ve ne proponiamo qui ampi stralci.

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Tra le questioni più complesse che riguardano la vita dell’ebraismo oggi vi sono quelle relative all’identità: chi è o cosa è un ebreo? Secondo la legge religiosa e rabbinica, è ebreo il figlio di una madre ebrea o chi si converte al giudaismo ed è riconosciuto come ebreo da un tribunale religioso. Il popolo ebraico oggi è allora anzitutto una realtà religiosa? Senza ombra di dubbio sarebbe stato corretto parlare del popolo ebraico come di un’entità religiosa fino all’inizio del XIX secolo. L’halakha (la pratica religiosa ebraica, letteralmente «cammino») definiva ampiamente l’identità ebraica.

La modernità, tuttavia, non solo ha mandato in frantumi l’unità nella pratica che sta al cuore dell’identità ebraica tradizionale, facendo emergere diverse correnti del giudaismo (ultra-ortodossia, ortodossia moderna, giudaismo conservativo, giudaismo riformato, ecc.), ma ha anche condotto molti ebrei a rifiutare del tutto la pratica religiosa tradizionale.

I movimenti di riforma del giudaismo hanno introdotto grandi diversità nelle comprensioni giudaiche dell’halakha e creato una pluralità di correnti ebraiche che non concordano più sui princìpi halakhici. E, cosa ancora più importante, molti ebrei hanno cominciato a non considerare più l’halakha – né in quanto pratica religiosa, né in quanto insieme di credenze che la sostengono – come decisiva per l’identità ebraica.

Mentre una parte del popolo ebraico (una minoranza) continua a vedere nell’halakha l’elemento coesivo centrale dell’identità ebraica, molti ebrei moderni la ritengono invece un impedimento alla vita nel mondo contemporaneo. Ciò ha portato a una radicale riformulazione dell’identità ebraica, una riformulazione in cui l’elemento religioso è solo una parte di ciò che definisce un ebreo moderno. (…)

Le questioni non sono rese più semplici dal fatto che il mondo ebraico è privo di autorità universalmente riconosciute. Nessun rabbino, leader comunitario o corrente del giudaismo può pretendere di rappresentare tutti gli ebrei o il giudaismo nel suo complesso. Gli ebrei oggi sono caratterizzati da una sconcertante differenziazione, che mette alla prova i tentativi di definizioni semplici. Questa diversità non sta solo nei modi in cui le tradizioni religiose vengono osservate, ma anche nei modi in cui esse possono essere completamente ignorate. Inoltre, spesso sembra che per gli ebrei d’oggi la religione sia più un elemento di divisione che di coesione.

Considerato che ai giorni nostri c’è poco accordo tra gli ebrei su cosa costituisca un ebreo, suggerisco due importanti elementi dell’identità dell’ebreo contemporaneo emersi dalla modernità: la storia e l’appartenenza al popolo. Questi due elementi possono essere anche più decisivi della religione nell’unificare gli ebrei oggi. Mentre l’elemento della Torah (la Parola di Dio che è Legge, o Insegnamento) era al cuore dell’identità in passato, oggi il concetto di ‘Am (popolo) e Eretz (terra) hanno largamente messo in ombra la Torah. (…)

Molti ebrei contemporanei pongono l’appartenere a un popolo e il condividere una storia davanti alla loro identità religiosa e spirituale. Inoltre, molti ebrei insistono per essere definiti non solo alla luce degli antichi contorni dell’Israele biblico e delle formulazioni sistematiche del giudaismo rabbinico, ma anche dalle esperienze degli ultimi secoli, culminate nella Shoah e nella creazione dello Stato di Israele nel XX secolo. (…)

Israele fu creato nel 1948 come «Stato ebraico» e la sua Dichiarazione d’indipendenza stabilisce espressamente che è «aperto all’immigrazione ebraica e alla raccolta degli esiliati». Una delle prime leggi varate dallo Stato, nel luglio 1950, la Legge del Ritorno, ha facilitato l’immigrazione in Israele di ebrei d’ogni parte del mondo. (…)

Nei sei decenni successivi alla promulgazione di quella legge, la questione è stata ripetutamente posta: «Chi è un ebreo?». Nel marzo 1958, il ministro dell’Interno Israel Bar Yehudah pubblicò delle direttive indirizzate all’apparato statale perché riconoscesse «una persona che in buona fede afferma di essere ebrea, senza porre ulteriori domande». Il dibattito politico che ne seguì condusse infine a sostenere il primato della religione ebraica nelle questioni relative allo status personale, inclusa quella dell’appartenenza o meno al popolo ebraico. (…)

La legge israeliana fonda la propria definizione di ebraicità sulla legge religiosa ebraica? Se sì, quale corrente del giudaismo contemporaneo definisce il profilo di cos’è un ebreo o di chi può diventare ebreo? In una serie di cause legali, la Legge del Ritorno è stata dibattuta ed emendata nei decenni successivi alla sua promulgazione.

Originariamente la Legge del Ritorno definiva ebreo il discendente di una madre ebrea. Un importante emendamento, introdotto nel 1970, ampliava la categoria di coloro che possono ricevere immediatamente la cittadinanza agli ebrei, ai loro figli e nipoti, ai loro sposi e ai relativi figli e nipoti. Tuttavia gli ebrei che avevano esplicitamente aderito a un’altra religione venivano esclusi dal novero. Ciò contraddiceva chiaramente la legge religiosa ebraica, che non attribuisce alcuna legittimità o riconoscimento ai riti di altre religioni che possano fare di un ebreo un cristiano, un musulmano o il seguace di qualunque altro credo. (…)

Altra questione non da poco: come porsi nei confronti di quegli ebrei che non si sono mai convertiti a un’altra religione ma praticano riti o professano credenze considerati incompatibili con la religione ebraica? In particolare, il caso si pone per gli ebrei che credono in Gesù, e per questo si definiscono «ebrei messianici» o «ebrei per Gesù». (…) E ancora: che dire dei non ebrei convertiti al giudaismo? (…)

Le complessità riguardo all’identità ebraica e ai criteri che regolano la cittadinanza israeliana non sono state ancora pienamente dipanate. Anzi sono rimaste a bollire sotto la superficie dello Stato di Israele sin dalla sua fondazione. In realtà ci sono sempre stati non ebrei tra gli immigrati ebrei in Israele (coniugi, figli o altri congiunti stretti), e tuttavia in passato si è prestata loro poca attenzione ed essi stessi hanno finito per assimilarsi alla popolazione israeliana laica. (…)

Nel 2009, l’Ufficio centrale di statistica israeliano ha annunciato che la popolazione di Israele ha superato i 7,4 milioni. Il 20,2 per cento è costituito da arabi, percentuale che non include i palestinesi della Cisgiordania e della Striscia di Gaza (ma include Gerusalemme Est e le alture del Golan annesse allo Stato di Israele così come sono inclusi nelle statistiche i coloni israeliani che vivono negli altri Territori occupati durante la guerra del 1967).

Circa 320 mila persone (il 4,3 per cento) vengono qualificate come «Altri», trattandosi di «nuovi immigrati non registrati come ebrei presso il ministero dell’Interno». Nelle statistiche ufficiali, gli israeliani sono identificati essenzialmente come ebrei e non ebrei. Fino al 1995 i non ebrei erano per lo più arabi (musulmani, cristiani e drusi). Ma già nel corso degli anni Novanta, con l’arrivo in Israele di un milione di immigrati provenienti dai Paesi dell’ex blocco sovietico, due categorie demografiche tanto nette (ebrei e non ebrei) non riflettono più la complessità della società israeliana. A tutti gli effetti è stata creata una nuova categoria: l’ebreo non ebreo, cioè quell’israeliano che vive come un ebreo (in seno alla società ebreofona), ma non è riconosciuto come ebreo dalle autorità religiose nello Stato di Israele. Meno del 10 per cento di questi «Altri» è espressamente censito come cristiano, mentre il restante 90 e rotti per cento non dichiara alcuna affiliazione religiosa. Di questi 320 mila «ebrei non ebrei», il 78 per cento è di origini russe, il 3 per cento d’origine etiope, e il 2 per cento d’origini rumene. Queste cifre non tengono conto delle decine di migliaia di lavoratori stranieri residenti in Israele e i cui figli stanno anch’essi rapidamente entrando a far parte della popolazione ebrea non ebraica, parlando ebraico, studiando in scuole israeliane ebraiche e imparando a considerarsi israeliani.

È con questa complessità e con questa profonda trasformazione sociale che Israele deve fare i conti.

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