Molti eventi degli ultimi anni contribuiscono a gettare una luce sinistra sull’Iran, da molti concepito come un nemico per antonomasia del progresso, della libertà e della pace mondiale. Ciò, tuttavia, rischia di essere estremamente riduttivo, in particolare rispetto alla percezione che la popolazione iraniana ha di sé stessa e della sua classe dirigente. Con questo suo saggio, Riccardo Redaelli, docente alla Cattolica, si prefigge di restituire un’idea sintetica di ciò che l’Iran realmente è e di ciò che è stato nel passato recente.
L’inserimento nel cosiddetto «asse del male» da parte degli Stati Uniti, l’impatto mediatico (soprattutto in chiave antisemita) del presidente Mahmud Ahmadinejad, il sangue versato durante le ultime elezioni, una tecnologia nucleare difficilmente verificabile e fuori dal controllo della comunità internazionale, persino le vecchie immagini dell’ayatollah Khomeini durante la guerra contro l’Iraq contribuiscono nell’immaginario collettivo e occidentale a gettare una luce sinistra sull’Iran, facendone un nemico per antonomasia del progresso, della libertà e della pace mondiale. Pure ad uno sguardo più approfondito, è difficile negare la permanenza di fattori politici, economici e sociali per nulla rassicuranti nel Paese che forse più di altri, per il coinvolgimento diretto del clero sciita nella gestione del potere, maggiormente si avvicina ad una teocrazia. Ciò, tuttavia, rischia di essere estremamente riduttivo, in particolare rispetto alla percezione che la popolazione iraniana ha di sé stessa e della sua classe dirigente.
Riccardo Redaelli, docente di Storia delle civiltà e delle culture politiche e Geopolitica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, è autore di un saggio, L’Iran contemporaneo, edito da Carocci, in cui lo sforzo maggiore è certamente dedicato a restituire un’idea sintetica di ciò che l’Iran realmente è e di ciò che è stato nel passato recente (un Paese «complesso e imprevedibile», come lo definisce l’autore), a partire soprattutto dal passaggio cruciale dal dominio dei Pahlavi alla rivoluzione khomeinista del 1979, e con un occhio di riguardo per la storia delle istituzioni del Paese.
Poiché grande attenzione è data anche alla storia delle idee politiche, vincenti o sconfitte, che nel tempo hanno segnato l’evoluzione di quella società, il saggio di Redaelli è particolarmente indicato anche per immaginare ciò che l’Iran sarebbe potuto essere, soprattutto se le istanze riformiste più volte emerse avessero avuto vita più lunga e un successo più duraturo; ciò vale in primo luogo e in modo esemplare per la parabola politica (1997-2005) di Seyyed Mohammad Khatami, il predecessore di Ahmadinejad, il cui impatto sulla scena politica iraniana gode di relativa ampiezza (e favore) all’interno del saggio, simbolo di ciò che una tensione verso la modernità ben presente in Iran ha voluto ma non ha potuto realizzare, in parte per i difetti strutturali del Paese, in parte per responsabilità da attribuire ad altri protagonisti della politica internazionale, in parte per la crisi economica: una tensione che tuttora sopravvive e che si è riproposta drammaticamente in sede elettorale.
L’Iran contemporaneo si inserisce in un progetto editoriale più ampio di Carocci, che include lavori analoghi sull’India, sull’Afghanistan, sul Caucaso, sul Pakistan, sul Libano e su Israele, col fine di rendere accessibili al grande pubblico i fattori storici e culturali più importanti per paesi di grande rilevanza strategica, sempre al centro della cronaca internazionale, ma forse poco conosciuti nei loro tratti distintivi.