Capita qualche volta che gruppi di israeliani vengano al monastero per incontrarci. Apprezzano la bellezza del giardino, la gioia che vedono sui nostri volti, la pace che emana dal luogo, così prossimo alla città, ma anche così silenzioso e sereno.
Anche non molto tempo fa è venuto da noi un gruppo di persone adulte, partecipanti a un corso per diventare guide dei pellegrini; volevano conoscere un po’ più da vicino la Chiesa viva di oggi a Gerusalemme. Due sorelle della comunità, tra cui io, si sono rese disponibili ad accoglierli.
Hanno fatto tantissime domande: «Perché siete vestite così? Ma voi siete uguali ai francescani? Come è la vostra giornata? Non uscite mai? Perché fate questo? Perché siete qui?». Tutti attentissimi alle risposte, con la penna veloce che prendeva appunti, da destra a sinistra…
Io rispondevo in francese e uno del gruppo traduceva in ebraico. Tutto tranquillo fino a quando qualcuno ci ha chiesto di parlare di san Francesco, della sua conversione. Allora ho iniziato a dire che Francesco era figlio di una famiglia di mercanti, nato nel XII secolo, tutto preso dai suoi sogni di diventare un cavaliere, quando ha incontrato un Dio che si è fatto povero… A questo punto il mio traduttore si è fermato. Ho colto un tentennamento, un leggero imbarazzo, un sospiro, e poi, onestamente, con delicatezza, mi ha solo detto: «Mi scusi, sorella, ma questo non posso tradurlo». Senza nessuna polemica, senza nessun astio, solo con l’impossibilità quasi fisica di pronunciare queste parole: Dio si è fatto povero. Proprio non ce la faceva, non a crederci, ma neanche solo a pronunciarle. Io ho avuto un momento di smarrimento: in un attimo mi sono resa conto di quanto sia inconcepibile e scandalosa questa scelta di Dio di spogliarsi della propria gloria, per diventare uno di noi. Di farsi bambino che nasce in un paesetto minuscolo, dove non c’è neanche posto per Lui. Di accettare di fare i conti quotidianamente con la vita, con il limite, con la fatica; di morire, e di morire in croce. «Scandalo per i giudei, stoltezza per i pagani», dice san Paolo.
Ho capito quanto questa scelta superi la nostra capacità di comprensione: Dio può amare i poveri, può stare dalla loro parte, si può impegnare a difenderli e a liberarli. Può ascoltare le nostre preghiere e anzi insegnarci a pregare. E passi anche questa. Ma che Dio sia un povero, è inaccettabile!
In un attimo ho capito quanto la fede sia un dono – un grande dono – e che solo questo dono può farti accogliere un Dio così.
In un attimo ho compreso lo stupore di Francesco e di Chiara per questo mistero della povertà e dell’umiltà di Dio, e mi sono ben resa conto di come questo può cambiare la vita.
Contemporaneamente mi sono anche resa conto di quanto sia impegnativo un Dio che chiede di accogliere la vita come un dono gratuito, di stare nella povertà con amore, di non meritare nulla…
Ripresami dal mio smarrimento, ho ringraziato quella guida israeliana per la sua onestà: e ho cercato di dire che sì, è proprio uno scandalo. E che questa è l’assoluta novità della fede cristiana, novità alla quale anche noi dobbiamo continuamente convertirci. Sono rimasta tutto il giorno commossa da questo evento, che mi ha costretto a guardare tutto e tutti in modo diverso.
Poi sono andata all’adorazione, e me lo sono trovato davanti, questo Dio, poverissimo nell’Eucaristia esposta sull’altare. E poi, a Vespro, con questa antifona al Magnificat: «Gioite in Cristo, Egli vi arricchisce per la sua povertà».
E ho avuto il sospetto che la Liturgia si fosse messa d’accordo con la mia amica guida israeliana…
(* clarissa del monastero di Santa Chiara – Gerusalemme)