Il 28 settembre 2000 scoppiava la seconda intifada. L’episodio scatenante – lo ricorderete – fu la «passeggiata» sulla Spianata delle Moschee, ritenuta provocatoria dai palestinesi, dell’allora leader del Likud Ariel Sharon, accompagnato da esponenti del partito e da centinaia di poliziotti.
Sono passato dieci anni, la seconda intifada si considera chiusa nel 2004, ma la pace resta una chimera. Il conto delle vittime delle varie esplosioni di violenza e forme di conflitto è salatissimo: 7.454. Un rapporto pubblicato nei giorni scorsi dall’organizzazione pacifista B’Tselem, entra nel dettaglio di questa tristissima contabilità della violenza. Nell’ultimo decennio sono caduti in raid o rappresaglie israeliane, 6.371 palestinesi, di cui 2.193 combattenti, 1.317 minori e 1.679 civili. Sul versante israeliano si contano 1.083 morti, di cui 342 soldati e poliziotti, 617 civili, 124 minori. La stragrande maggioranza dei cittadini israeliani è caduta vittima di attentati terroristici.
La seconda intifada ha avuto, tra le altre conseguenze, anche quella della costruzione del muro di separazione e la moltiplicazione del posti di blocco (ce ne sono a tutt’oggi 59) per il controllo delle principali arterie verso i Territori palestinesi. Nelle carceri israeliane sono stati imprigionati circa 6 mila palestinesi.
All’inizio di settembre sono ripresi tra mille difficoltà (soprattutto a causa della questione degli insediamenti israeliani in Cisgiordania), i colloqui bilaterali tra Israele e Palestina, sotto gli auspici di Washington. Nelle stanze ovattate della diplomazia, qualcuno saprà ricordarsi di queste vittime? Qualcuno sarà capace, in nome loro, di dire basta e spezzare una volta per tutte questa insostenibile spirale di morte?