(Roma/m.b.) – Una chiamata a vivere «come Chiesa di comunione, restando aperti a tutti, senza cadere nel confessionalismo» è il filo conduttore delle 44 Propositiones presentate al Papa a conclusione del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente per prevenire e affrontare l’emigrazione, per la formazione del clero e dei laici, per studiare le modifiche organizzative chieste per assistere al meglio i fedeli della diaspora. Una parte delle proposte avanzate dai vescovi e che confluiranno nell’Esortazione apostolica post-sinodale riguarda le forme della «testimonianza dell’amore e della Resurrezione di Cristo» nei diversi ambiti dell’attività della Chiesa e nel dialogo interreligioso.
L’assise sinodale che ha riunito a Roma 173 vescovi e patriarchi del Medio Oriente, più altri esperti, uditori e vescovi degli altri continenti, per un totale di 330 persone, si è chiusa ieri a Roma con l’appello del Papa per la pace nella regione, come chiesto anche nel Messaggio inviato dai presuli al popolo di Dio, e 44 proposte concrete per affrontare le sfide delle minoranze cristiane. Esse sono suddivise in tre blocchi e rappresentano la sintesi dei 125 interventi pronunciati dai vescovi in aula (e di altri cinque consegnati per iscritto), più 111 interventi liberi seguiti alla discussione.
Il primo blocco delle Propositiones riguarda il senso della presenza e della vocazione cristiana nella regione e chiede di «suscitare l’impegno a reclamare e sostenere il diritto internazionale e il rispetto di tutte le persone» per quanto concerne la «situazione drammatica di certe comunità cristiane del Medio Oriente, le quali soffrono ogni tipo di difficoltà, giungendo talvolta fino al martirio». Le Chiese d’Oriente devono dedicarsi «alla purificazione della memoria e alla promozione del linguaggio della pace e della speranza, invece di quello della paura e della violenza».
Sia nel Messaggio che nelle proposte i vescovi esortano i fedeli a non cedere alla tentazione di vendere le loro proprietà, terre e immobili, visto che la terra natale rappresenta «un elemento essenziale dell’identità delle persone e dei popoli» e «uno spazio di libertà». Essi propongono di creare «progetti che si facciano carico di farle fruttificare per permettere ai proprietari di restare dignitosamente nei loro Paesi». Anche nella gestione dei beni delle diocesi, «è necessario applicare un sistema di rendicontazione contabile (audit) negli affari finanziari della Chiesa». Si chiede inoltre di incoraggiare i pellegrinaggi nei Luoghi Santi dei vari Paesi della regione, non solo in Terra Santa.
Quattro proposte riguardano la pastorale dell’emigrazione, compresa l’opportunità di creare un ufficio ad hoc nelle diocesi per studiare il fenomeno e contrastarlo, ed una dell’immigrazione, in particolare delle donne che sono fra i soggetti più svantaggiati: le istituzioni e organizzazioni cattolica sono chiamate a «fare tutto quanto rientra nelle loro competenze perché i diritti fondamentali degli immigrati, riconosciuti dal diritto internazionale, siano rispettati», a prescindere dalla loro nazionalità e religione, «e per aiutarli sul piano giuridico e umanitario».
Un secondo blocco di 14 proposte riguarda la comunione delle Chiese. I vescovi suggeriscono, fra l’altro, di «creare una commissione di cooperazione tra le gerarchie cattoliche del Medio Oriente» per promuovere strategie pastorali comuni, organizzare incontri periodici e regolari tra le gerarchie, «praticare una solidarietà materiale tra le diocesi ricche e meno ricche», creare un’associazione sacerdotale fidei donum «per favorire l’aiuto reciproco tra eparchie e Chiese». Una proposta, quella di creare una sorta di «sacerdoti senza frontiere», che era stata avanzata dal vescovo di Gibuti mons. Giorgio Bertin per aiutare le Chiese, come quelle Africa, gravemente a corto di clero.
E ancora: la raccomandazione ai «nuovi movimenti ecclesiali» che aprono istituti in Medio Oriente di «operare in unione con il vescovo locale e secondo le sue direttive», e possibilmente ci sia una posizione comune della gerarchia cattolica rispetto a questi movimenti. Altre proposte riguardano la pastorale nei Paesi del Golfo, le vocazioni, la sussistenza del clero e la richiesta dei patriarchi di estendere la loro giurisdizione territoriale e poter assistere i fedeli della diaspora eventualmente con dei preti sposati che già operano nelle Chiese d’Oriente. Circa l’importanza della lingua araba: si propone di «intensificare l’uso della lingua araba nel quadro delle istituzioni della Santa Sede e delle sue riunioni ufficiali», affinché i cristiani di cultura araba possano seguire meglio i lavori del Vaticano. Una proposta concreta sull’ecumenismo riguarda il lavoro per l’unificazione delle feste di Natale e di Pasqua (ossia la possibilità di celebrarle tutti in contemporanea a prescindere dalle differenze cronologiche imposte dai calendari giuliano e gregoriano in uso tra le varie Chiese), un’altra chiede di «applicare gli accordi pastorali conclusi» laddove esistono.
L’ultimo blocco di proposte, infine, riguarda la formazione, la liturgia e il dialogo interreligioso dei cristiani chiamati ad essere «testimoni della Resurrezione e dell’amore» e quindi ad alimentare, prima di tutto in se stessi, una visione cristiana della vita e del loro ruolo in Medio Oriente. La prima sfida, rimarcano i vescovi, è quella della formazione, sia del clero che dei laici. «Ogni battezzato – scrivono – deve essere pronto a rendere ragione della sua fede in Gesù Cristo e avere la preoccupazione di proporre il Vangelo senza timidezza, ma anche senza provocazione. La formazione riguarderà la celebrazione dei misteri, il sapere, il vivere e l’agire».
I presuli incoraggiano le scuole cattoliche «a consolidare la cultura dell’apertura e della convivialità, la cura e l’accoglienza dei poveri e dei portatori di handicap» e «nonostante le difficoltà, a conservare la missione educatrice della Chiesa e a promuovere lo sviluppo dei giovani, che sono l’avvenire delle nostre società». Oltre alle scuole, la Chiesa universale è chiamata a sostenere i media cattolici. Le famiglie, in particolare quelle che attraversano gravi difficoltà, devono essere «accompagnate e sostenute», soprattutto nelle città. Un’altra proposta sottolinea l’importanza di diffondere in Medio Oriente la dottrina sociale della Chiesa.
La premessa del rafforzamento del dialogo interreligioso è che i cristiani del Medio Oriente sono invitati «alla purificazione della memoria, al perdono reciproco del passato e alla ricerca di un avvenire comune migliore». I fedeli opereranno «per edificare una società nuova dove il pluralismo religioso è rispettato e dove il fanatismo e l’estremismo saranno esclusi». Così, tanto è importante il dialogo con gli ebrei nel rifiuto «dell’antisemitismo e dell’antiguidaismo», nella distinzione «tra religione e politica», tanto è importante con i musulmani con cui il dialogo è «una necessità vitale, da cui dipende in gran parte il nostro avvenire». Con questi ultimi «è importante – rimarcano i vescovi – promuovere la nozione di cittadinanza, la dignità della persona umana, l’uguaglianza dei diritti e dei doveri e la libertà religiosa comprensiva della libertà di culto e della libertà di coscienza». Nel continuare «il fecondo dialogo di vita con i musulmani» i cristiani metteranno da parte «ogni pregiudizio negativo». In tal modo, «offriranno al mondo l’immagine di un incontro positivo e di una collaborazione fruttuosa tra i credenti di queste religioni, opponendosi insieme a ogni genere di fondamentalismo e di violenza in nome della religione».