Il nuovo anno, per i cristiani del Medio Oriente, è iniziato nel segno della violenza che ha caratterizzato il 2010. Un tragico filo rosso lega la strage della chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso a Baghdad (31 ottobre 2010) con il sanguinoso attentato del primo gennaio scorso all’esterno della chiesa copta di Al-Qiddissin ad Alessandria d’Egitto, nel quale sono state uccise 21 persone.
Si parla con sempre maggiore insistenza di «cristianofobia» e di una strategia per colpire i cristiani. Anzi, per espellerli direttamente e definitivamente dal Medio Oriente. E probabilmente di vera «strategia» si tratta, come ha di recente denunciato anche Benedetto XVI.
Per capire però quali fini persegua questa strategia, non possiamo non considerare i contesti nei quali essa si colloca. L’obiettivo dei combattenti islamici (che non sono affatto la maggioranza della popolazione) è quello di alzare il livello dello scontro con l’Occidente, ma soprattutto di far implodere gli Stati a maggioranza islamica, fomentando le violenze tra cristiani e musulmani.
In questo clima (la cui responsabilità è immancabilmente attribuita a «forze esterne»), la soluzione offerta (in Egitto come altrove) è quella di un maggior radicamento dello Stato islamico fondato sulla legge coranica. Dove però sparirebbe qualsiasi barlume di libertà individuale.
Se da una parte noi cristiani d’Occidente dobbiamo porre con rinnovata forza la questione della difesa dei cristiani e della libertà religiosa in Medio Oriente, d’altra parte non dobbiamo cadere nella trappola di chi vuole fomentare ad arte uno scontro tra civiltà i cui esiti non possono che essere traumatici.