Le manifestazioni che in queste settimane animano le piazze di molte città arabe del Nord Africa e del Medio Oriente, preoccupando regimi all'apparenza impossibili da scalzare, non hanno per protagonisti solo cittadini di sesso maschile. Spesso sono proprio volti di donna ad assurgere al ruolo di leader e di simbolo.
(Milano) – È diventata uno dei simboli della protesta in Yemen, anche se pochi in Occidente se ne sono accorti. I suoi occhi di ragazza seria, il viso incorniciato dal velo nero, ti guardano dagli striscioni che i suoi compagni (maschi e femmine) sventolano davanti alla polizia per le strade di Sana’a. È Tawakul Karman, studentessa arrestata lo scorso 23 gennaio e accusata di essere la promotrice delle manifestazioni anti-regime, cominciate a ripetersi nel più povero degli Stati arabi. Lo Yemen non detiene solo il primato di avere il 40 per cento dei suoi 23 milioni di cittadini costretti a sopravvivere con due dollari al giorno, ma anche una solida fama di nazione ultradizionalista islamica, dove Al Qaeda spera di poter ricompattare le sue file grazie all’aiuto dei fondamentalisti locali. Provoca dunque un certo stupore che una giovane donna possa essere qui considerata una leader.
Tuttavia il terremoto che scuote in queste settimane il Mediterraneo e il Medio Oriente ha fatto saltare vecchie categorie, stereotipi imposti dalle stesse dittature. Così, a sfogliare i blog e i siti della rivolta, si scopre che il caso di Tawakul non è affatto isolato. Spostandoci nel Sudan del Nord, altro Paese dominato da una sharia declinata talvolta nei suoi aspetti più crudeli proprio contro le donne, ecco che tra i protagonisti delle prime proteste contro il presidente – colonnello Omar Al Bashir (incriminato dal Tribunale dell’Aja per il genocidio nel Darfur) – spuntano studentesse o giovani professioniste, abili a navigare su Internet e a sfruttare tutte le possibilità organizzative dei social network. Due di loro sono già finite in prigione: una è la figlia del direttore del giornale Al Wan. Il padre, Hussein Khogali, ha raccontato che la ragazza – ispiratrice del sito Youth for Change («Giovani per il cambiamento») – è stata prelevata dalla polizia alle 5 del mattino del 7 febbraio, giorno in cui i giovani di Khartoum sono scesi in piazza per chiedere riforme. L’altra è Mariam Al Madhi, figlia del premier deposto nel 1989 durante il colpo di Stato di Bashir. Riferimento degli oppositori sudanesi rimane una terza giovane signora, Mubarak Fadil.
«Non mi stupisce che tante donne si trovino in prima fila nelle proteste di queste settimane», spiega a Terrasanta.net padre Samir Khalil Samir, egiziano, islamologo, docente all’Università Saint Joseph di Beirut. «È un movimento popolare che coinvolge tutti, musulmani e cristiani, borghesi e poveri. Non a caso l’opposizione egiziana si chiama Basta. Anche se ci possono essere contraccolpi e tentativi di far deragliare il rinnovamento, la voglia di giustizia e di democrazia è irreversibile».
«Ciò vale – aggiunge il religioso – in special modo per le donne che vivono, nelle società musulmane, una condizione di particolare diseguaglianza». Se nel Medioevo poteva apparire naturale per le donne essere considerate inferiori e sottomesse agli uomini, «nell’era della globalizzazione ciò non può essere più accettato». Per padre Khalil «il processo di democratizzazione è finalmente partito». E non solo nel mondo arabo.
«Guardate l’Iran, guardate a come vengono perseguitate le donne e la loro coraggiosa, quotidiana, creativa resistenza». Anche in Iran, in fondo, i volti più noti dell’opposizione sono femminili: da quello bianco e immobile di Neda, la ragazza uccisa dalla polizia mentre protestava, al fianco del padre, contro i brogli delle elezioni del 2009; a quelli più maturi del premio Nobel 2003 per la pace, Shirin Ebadi, o dell’avvocatessa dei diritti umani, Nasrin Sotoubeh, condannata di recente a 11 anni di prigione per «propaganda contro il regime».
A 78 anni, in Egitto, è tornata a manifestare tra la sua gente di piazza Tahrir al Cairo la scrittrice Nawal Al Saadawi, cinquant’anni passati a combattere per la democrazia e l’eguaglianza delle donne nel mondo islamico. La tivù satellitare araba Al Jazeera le ha dedicato un lungo servizio, definendola, e forse non solo per galanteria, «la mamma della rivoluzione».