Con "Vento di primavera" la regista Roselyne Bosch ha voluto raccontare la più grande retata di ebrei mai compiuta nella storia. Avvenne a Parigi il 16 luglio 1942, quando 13 mila ebrei furono rastrellati e trasferiti al Vélodrome d’Hiver, prima d'essere internati. Ne tornarono solo 25, tra cui neppure uno dei 4.051 bambini tratti in arresto. Proprio a loro è particolarmente dedicata la pellicola.
Le immagini di repertorio in bianco e nero, che mostrano nei primi fotogrammi Hitler nella Parigi occupata, potrebbero far pensare a un passato da archiviare, che non riguarda la vita presente. Quando però inizia il racconto a colori, con la storia dell’undicenne Joseph, al centro della scena c’è una giostra che gira sulla collina di Montmartre: la stessa che apparirà alla fine della pellicola, come un cerchio che si apre e si chiude intorno ai bambini, ariani che possono salire sui cavallucci in movimento ed ebrei a cui è interdetto il giardino pubblico, costretti a portare pubblicamente la stella di David cucita sul petto. Tutti francesi. Sono loro i veri protagonisti del film Vento di primavera, girato con delicatezza e attenzione da Roselyne Bosch, regista e sceneggiatrice che ha voluto raccontare con partecipazione ma senza melodrammi la più grande retata di ebrei compiuta nella storia, di cui restano ben poche testimonianze fotografiche.
Alle 4 del mattino, il 16 luglio del 1942, ben 13 mila ebrei furono rastrellati e trasferiti al Vélodrome d’Hiver, di qui poi in un campo di Beaune-La-Rolande e ancora a Vichy, in baracche di legno identiche a quelle di Auschwitz, torrette d’osservazione, cani e chilometri di filo spinato. In seguito vennero deportati in Polonia. Ne tornarono vivi solo in 25, tra cui neppure uno dei 4.051 bambini. «Ciò che ha reso la seconda guerra mondiale un conflitto completamente diverso è stato l’Olocausto – ha dichiarato la regista –. Ma all’interno di questa atroce eccezione, è la prima volta che degli adulti si sono interessati espressamente ai bambini, allo scopo di annientarli. È un fatto unico nella storia del mondo in simili proporzioni: un milione e mezzo di bambini sono stati sterminati». Come dire: annientare il futuro, prendendo come capro espiatorio gli innocenti, il cui unico peccato è quello di essersi fidati del proprio Paese.
Le macchine da presa sembrano quasi entrare nel profondo dei personaggi, che osservano l’orrore dilatarsi intorno a loro; eppure nelle famiglie ebree, modeste o abbienti, si respirava un clima sereno, nonostante le limitazioni della libertà personale imposte dalle leggi razziali agli «israeliti indesiderabili». Nello snodarsi delle sequenze, appare sempre più chiaro il coinvolgimento dei vertici francesi nelle deportazioni, come pure il sincero dolore dei non ebrei: in molti – da padre Bernard, con la stella di David appuntata sulla tonaca (che dice convinto: «Combattere loro è combattere l’anticristo»), alla portinaia, dalle prostitute ai vicini di casa – li nascosero o cercarono di salvarli e di farli fuggire. Ben 12 mila, infatti, non vennero intercettati durante la retata, anche se la polizia locale eseguì pedissequamente gli ordini.
Solo il capo dei pompieri, entrando nel velodromo, ebbe il coraggio di dissetare migliaia di persone sfinite dal caldo: uno scampolo d’umanità, insieme a quella dell’infermiera Annette, figlia di un pastore protestante che sarà insignita del titolo di Giusto fra le nazioni (interpretata magistralmente da Mélanie Laurent), e del medico ebreo David: un intenso Jean Reno.
Uscita in Italia verso fine gennaio, la pellicola è purtroppo già praticamente introvabile nei circuiti di prima visione della Penisola.