Sulla stampa e sui principali canali televisivi, da mesi ormai, assistiamo ad una insopportabile pantomima. A proposito delle cosiddette «rivoluzioni arabe» che hanno infiammato Nord-Africa e Medio Oriente (ce ne occupiamo nella sezione In copertina, da pag. 14, con il bell’articolo di Paola Caridi) troppo sbrigativamente politici (di maggioranza e opposizione) e opinionisti si sono affrettati a far notare come il fenomeno sia scoppiato in maniera del tutto inaspettata. In realtà che le società arabo-musulmane fossero sul punto di esplodere lo si sapeva da tempo. Restava da capire il quando e il come.
Per farsi un’idea di quanto la situazione nell’area fosse prevedibile, basta andarsi a leggere gli Arab Human Development Report redatti dal Programma dell’Onu per lo sviluppo (www.undp.org). Ne sono usciti cinque nell’ultimo decennio (2002, 2003, 2004, 2005, 2009), tutti puntuali nel descrivere la situazione delicata (quando non esplosiva) di quell’area. Nel Rapporto 2009, l’ultimo disponibile, il capitolo dedicato a «Identità, diversità, cittadinanza» mette in evidenza come «la maggioranza degli Stati abbia fallito nell’introdurre la democrazia e forme di rappresentanza capaci di assicurare inclusione, equità nella distribuzione delle ricchezze e rispetto delle differenze culturali». Tra le minacce che quotidianamente toccano il mondo arabo, il Rapporto mette il terrorismo internazionale, le guerre, le pandemie, l’inquinamento, il traffico di droga e perfino quello degli esseri umani, l’autoritarismo dei regimi e il mancato rispetto dei diritti umani. Ma soprattutto la crescita endemica della povertà e la disoccupazione.
Le piazze arabe sono esplose, chiedendo pane e democrazia, contro gli autocrati che per decenni hanno garantito i nostri affari. Restano certamente da scrivere molti capitoli di questa nuova fase storica (soprattutto c’è da sperare che le forze dell’islam politico non prendano il sopravvento), ma tutto possiamo dire, tranne che da tempo, dall’altra sponda del Mediterraneo (non solo da Tunisia e Libia), non arrivassero segnali inequivocabili. Situazione di disperazione e disagio che non abbiamo saputo o voluto cogliere, e di cui la storia ci presenterà prima o poi il conto.