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La crisi idrica della capitale yemenita

Lucia Balestrieri
23 marzo 2011
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La crisi idrica della capitale yemenita
Una panoramica del centro storico di Sanaa, nello Yemen.

Secondo le previsioni di un centro studi americano, Sanaa, una delle città più antiche del mondo, rimarrà senza acqua tra sei anni. La capitale dello Yemen consuma quattro volte l’acqua che entra nelle sue riserve sotterranee con le piogge. Se in altre parti del medio Oriente la situazione è seria qui è un dramma.


(Milano) – Sanaa, una delle città più antiche del mondo, rimarrà completamente senza acqua tra sei anni. Lo prevede un rapporto del Centro studi strategici e internazionali, di Washington. La capitale dello Yemen consuma quattro volte l’acqua che entra nelle sue riserve sotterranee attraverso le precipitazioni piovose, in una regione che non è più la fertile Arabia Felix romana, ma un susseguirsi di montagne aride.

Le falde idriche si stanno prosciugando. Nel 2017, affermano gli esperti del think-tank statunitense, dai rubinetti non uscirà più una goccia, gli hammam resteranno a secco, e la popolazione urbana di oltre un milione e mezzo di persone sarà costretta all’esodo. È una catastrofe annunciata e nello stesso tempo subita con fatalismo, perché mancano il tempo, i mezzi politici e, tantomeno, economici per correre ai ripari.

I «saggi» del Centro statunitense affermano che le uniche soluzioni potrebbero essere quelle di far pagare il consumo d’acqua o di ipotizzare impianti nucleari sul Mar Rosso, dai costi minimi di circa due miliardi 500 milioni di dollari l’uno, per desalinizzare l’acqua del mare e portarla sulle montagne a 1.700 metri di altezza. Soluzioni improbabili, come ammettono gli stessi esperti, per un Paese che è il più povero del Medio Oriente; nello Yemen si vive con 900 dollari all’anno a persona, e il consumo dell’acqua rappresenta già un quinto di quello della media mondiale. Senza tenere conto della situazione politica attuale, stretta tra un regime ormai alle corde e l’insurrezione popolare, tra rivalità tribali al limite della guerra civile e lo spettro del terrorismo di Al Qaeda. In questo scenario, la morte per sete di Sanaa potrebbe avere conseguenze incalcolabili.

La mancanza di acqua non è un dramma che affligge solo lo Yemen, ma tutta la regione mediorientale e arabica. Un altro studio presentato in quest i giorni a Bruxelles da Blue peace rileva che tra 1960 e il 2010 il flusso dei fiumi che scorrono in Turchia, Siria, Iraq, Libano e Giordania si è ridotto dal 50 al 90 per cento. Le prossime ondate di rivolta , pronostica l’indagine, rischiano di arrivare dalla crescente crisi idrica della regione, dove l’oro blu sta diventando sempre più raro.

La situazione dello Yemen è tuttavia particolarmente grave. La popolazione è di 24 milioni di persone e in 17 anni raddoppierà perché aumenta a un tasso di crescita demografica che è il secondo del mondo. Fino al 1960, gli abitanti di Sanaa vivevano esclusivamente nella città vecchia, la grande medina di palazzi antichi e raffinati , racchiusi nella cinta delle mura d’argilla. Un gioiello architettonico dichiarato dall’Unesco Patrimonio universale dell’Umanità. Oggi la capitale dello Yemen si è estesa in maniera caotica e disordinata, quadruplicando la sua popolazione. Come anche nelle altre nazioni arabe, la cosidetta «rivoluzione verde» degli anni Ottanta e Novanta, con la crescita della produzione agricola locale per sfamare la popolazione, ha fatto evaporare le riserve idriche. Desta poi sconcerto il fatto che il 40 per cento dell’acqua disponibile nel Paese sia tuttora destinato alla coltivazione del khat, la pianta con le foglie che si masticano e provocano stordimento ed euforia. Una droga nazionale, a cui nessuno, in una nazione provata dalla violenza e dalla miseria, sembra però volere rinunciare.

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