Amnesty International nel Rapporto Condanne a morte ed esecuzioni nel 2010, diffuso il 28 marzo scorso, segnala che l’Asia in generale e il Medio Oriente in particolare continuano ad essere le aree geografiche in cui viene condotta a termine la maggioranza delle esecuzioni. Il triste primato è ancora della Cina.
(Milano) – I venti di democrazia e riforma che stanno soffiando in Medio Oriente potranno sradicare anche la pena capitale? I dati pubblicati da Amnesty International nel Rapporto Condanne a morte ed esecuzioni nel 2010, diffuso il 28 marzo scorso, evidenziano che l’Asia in generale e il Medio Oriente in particolare sono le aree geografiche in cui è avvenuta la maggioranza delle esecuzioni. «Un certo numero di Paesi continua a emettere condanne a morte per reati legati alla droga e di natura economica, o per relazioni sessuali tra adulti consenzienti e per blasfemia, violando le norme internazionali sui diritti umani che vietano il ricorso alla pena capitale se non per i crimini di estrema gravità», ha denunciato Salil Shetty, segretario generale di Amnesty.
C’è un dato parzialmente positivo: il numero delle esecuzioni censite è sceso da almeno 714 nel 2009 ad almeno 527 nel 2010, e nel Medio Oriente è stato registrato un calo sia di condanne a morte che di esecuzioni.
Parecchie decine di condanne a morte – si stima una cifra per difetto, non avendo a disposizione tutti i dati ufficiali – sono state eseguite in Arabia Saudita (almeno 27), Libia (almeno 18), Siria (almeno 17), Autorità Palestinese (5), Egitto (4), Bahrain (1), Yemen (almeno 53).
Molte sentenze capitali sono state emesse in Egitto (185), Algeria (almeno 130), Arabia Saudita (almeno 34), Emirati Arabi Uniti (almeno 28), Tunisia (almeno 22), Libano (almeno 12), Libia (impossibile precisarne il numero), Autorità Palestinese (almeno 11), Siria (almeno 10), Giordania (9).
Se guardiamo più da vicino la situazione in Egitto, scopriamo che lo scorso anno la maggior parte delle sentenze capitali riguardavano casi di omicidio, ma anche reati connessi alla droga. L’11 marzo 2010 il detenuto Atef Rohyum Abd El Al Rohyum è stato impiccato «nonostante le prove che indicavano come non fosse lui il vero colpevole».
Nel corso del 2010, 5 palestinesi sono stati messi a morte dall’amministrazione de facto di Hamas a Gaza: si tratta delle «prime esecuzioni dal 2005, considerando l’intero territorio dell’Autorità Palestinese», informa Amnesty. Nel dettaglio, a Gaza sono stati messi a morte il 15 aprile 2010 due uomini, «condannati nel 2009 da un tribunale militare per “collaborazionismo” con i militari israeliani in atti che hanno provocato vittime»; gli altri tre sono stati giustiziati dopo circa un mese, il 18 maggio, condannati per omicidio in casi separati prima del 2010. Anche le 11 nuove condanne a morte provengono dai tribunali militari e penali nella Striscia di Gaza.
A fine 2010, in Giordania la sentenza capitale pendeva su 46 persone, incluse 4 donne, a cui vanno aggiunti altri 9 condannati, secondo Amnesty.
Almeno 12 nuove condanne a morte sono state emesse in Libano e, alla fine dello scorso anno, circa 50 persone, compresa una donna, risultavano rinchiuse nel braccio della morte.
La Libia, invece, ha comminato condanne a morte soprattutto per omicidio e reati connessi alla droga, uccidendo i detenuti tramite plotone d’esecuzione: in 18 (libici, ma anche ciadiani, egiziani e nigeriani) sono morti così, accusati di omicidio premeditato.
Tre delle 17 esecuzioni eseguite in Siria nel 2010, tre hanno avuto luogo il 4 novembre, a carico di altrettanti coimputati nell’omicidio del marito di una di loro. Il tribunale ha ignorato le prove che dimostravano gli abusi psicologici e sessuali subiti per anni dalla donna, Eliaza al-Saleh. La sua famiglia è stata informata dell’avvenuta esecuzione solo dopo tre giorni più tardi.
In Algeria le condanne a morte continuano ad essere comminate, ma non eseguite da oltre un decennio.
Nella regione, l’unico Stato che abbia abolito la pena di morte per i reati comuni è Israele (che, pur non avendola quasi mai applicata, la mantiene, per circostanze gravissime, legate prevalentemente al diritto bellico).
Il triste primato a livello mondiale tra coloro che danno lavoro al boia, anche nel 2010 spetta alla Cina, con un numero di sentenze di morte eseguite che certamente va oltre il migliaio (dati ufficiali non sono disponibili).