Duecento vigilantes dell'estrema destra nazionalista ebraica si sono dichiarati pronti ad entrare in azione per ripulire i quartieri di Tel Aviv dagli immigrati africani. La notizia testimonia il crescente clima di xenofobia che si respira in Israele e in particolare in una città fin qui simbolo di tolleranza e liberalità.
(Milano) – Ben addestrati in arti marziali e dotati di lacrimogeni, 200 vigilantes dell’estrema destra nazionalista ebraica si sono dichiarati pronti ad entrare in azione per ripulire i quartieri di Tel Aviv dagli immigrati africani. La notizia, registrata dallo Yedioth Ahronot, il più diffuso giornale d’Israele, testimonia il crescente clima di razzismo e xenofobia che si respira in Israele e che si accumula in particolare nella sua capitale economica, città finora ritenuta simbolo di tolleranza e liberalità e divenuta meta dei clandestini in cerca di una vita migliore.
I vigilantes, abbigliati con magliette e felpe nere, sono certamente percepiti dai più come estremisti fanatici: il loro eroe è Baruch Goldstein, il colono che massacrò 29 palestinesi in preghiera a Hebron nel 1994; il loro referente politico è il vecchio partito Kach, di cui Goldstein era militante e che fu messo al bando per «istigazione alla violenza e odio razziale». Il loro attuale leader è un tribuno anti-arabo, ben conosciuto per le sue posizioni provocatorie: Baruch Marzel, il quale ha detto di essersi ispirato alle squadre di «autodifesa ebraica» reclutate a suo tempo a New York tra i giovani attivisti del Kach.
Secondo Mazel, gli ebrei, pur essendo in stragrande maggioranza a Tel Aviv, si sentono «ormai in pericolo» in certe aree della città per le presunte aggressioni di «immigrati sudanesi», o anche di «arabi» (che però immigrati non sono). I vigilantes di Mazel possono certo apparire come l’ennesima scheggia impazzita di una società molto frammentata come quella israeliana. In realtà esprimono sentimenti diffusi. Nonostante il governo israeliano non sia affatto tenero con i tanti profughi africani in fuga dalla povertà e dalle crisi sociali e politiche dei loro Paesi, una parte dell’opinione pubblica vorrebbe una linea ancora più dura. Non bastano le retate quotidiane della polizia, né la recente decisione del governo di espellere tutti gli immigrati entrati in Israele illegalmente e sprovvisti di una protezione delle Nazioni Unite.
I residenti del quartiere di Shuk Tiva, vicino alla stazione centrale di Tel Aviv, hanno già cercato più volte di risolvere la questione con le proprie mani scontrandosi, in cortei improvvisati, con i nuovi arrivati della «piccola Africa» cresciuta in casa propria.
L’immigrazione dai Paesi africani si sta imponendo anche in Israele come uno dei temi caldi della politica interna, con l’ampio schieramento della destra pronto a cavalcarlo, anche in chiave anti-araba. Sono migliaia i clandestini entrati in Israele provenienti sopratutto dal Sudan e dall’Eritrea. L’Alto commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite ha già raccolto oltre 6.500 domande di asilo politico.