Fiumi di parole sono stati scritti in questi giorni sulla recente uccisione di Osama Bin Laden. E in effetti sono tante le domande che l'epilogo di questa vicenda solleva. Ma ora vorremmo considerare solo un aspetto: come guarda a questo fatto il Medio Oriente arabo?
Fiumi di parole sono stati scritti in questi giorni sull’uccisione di Osama Bin Laden (nella notte del 2 maggio scorso ad Abbottabad, in Pakistan, da parte di un commando di marines statunitensi). E in effetti sono tante le domande che l’epilogo di questa vicenda solleva. A me interessa, però, concentrarmi solo su un aspetto: come guarda a questo fatto il Medio Oriente?
Su tutti i media è subito rimbalzata la reazione di Hamas ed è logico che sia stato così: i riflettori erano puntati sul Cairo dove mercoledì è stato firmato l’accordo di unità nazionale tra le fazioni palestinesi. Così le dichiarazioni di Ismail Haniyeh (il «primo ministro» di Gaza) che ha condannato l’«uccisione di un jihadista arabo» definendola una continuazione della «politica di oppressione americana» hanno scatenato un putiferio. Ma la domanda è: davvero questo è il pensiero dominante oggi in Medio Oriente? Detto così è una grossa semplificazione. Per questo credo sia interessante analizzare due articoli significativi pubblicati in queste ore su quotidiani arabi.
Il primo è un editoriale del quotidiano saudita Arab News. Un quotidiano non certo pregiudizialmente anti-americano che si pone però una domanda singolare: perché così tanta gente nel mondo arabo non crede che la persona uccisa da un commando americano in Pakistan sia veramente Bin Laden? Aggiunge che anche se Obama avesse deciso di pubblicare le fotografie del cadavere non sarebbe cambiato nulla. E precisa che il problema vero è la sfiducia nei confronti degli americani: se lo stesso blitz lo avessero compiuto i russi o i pachistani a nessuno sarebbe venuto in mente che quello potrebbe non essere Bin Laden.
Il mondo arabo non si fida degli Stati Uniti. E lo stesso Obama – scrive Arab News – nella piazza araba sconta il prezzo della delusione delle speranze che aveva suscitato due anni fa con il discorso del Cairo. Quali fatti concreti sono seguiti a quelle parole? Nel processo di pace in Medio Oriente, quando è arrivato il momento della verità, l’amministrazione americana si è piegata ancora una volta alle condizioni poste da Israele. Ma è quello – sostiene il quotidiano saudita – il vero banco di prova sulla fiducia che si può nutrire negli Stati Uniti. E allora Washington farebbe bene a tenere ben presente anche l’altro evento della settimana, l’accordo tra le fazioni palestinesi. Senza condannarlo pregiudizialmente ma utilizzandolo per rilanciare il negoziato, resistendo alle pressioni di Netanyahu. Questo – è la conclusione dell’editoriale – aiuterebbe davvero a rendere il mondo più sicuro.
Si può essere d’accordo o meno con questa analisi di Arab News. Credo però che esprima bene un’opinione diffusa. Anche se (non a caso) qui manca un riferimento non da poco: non c’è una sola parola sulla «primavera araba», l’ondata di piazza che sta scuotendo tutta la regione. Una rimozione che conferma la preoccupazione con cui in Arabia Saudita si guarda a questo fenomeno.
Non ha di questi problemi, invece, Rami Khoury che infatti nel suo commento sul quotidiano libanese The Daily Star arriva a dire che la vera sconfitta di Bin Laden è la gente che sta scegliendo una strada ben diversa e molto più efficace rispetto a quella proposta da al Qaeda per cambiare le cose in Medio Oriente. Khoury analizza la parabola degli ultimi 25 anni indicando le diverse risposte date al malessere che aleggia da tempo sulla regione. Ma indica nei movimenti di piazza la vera novità, perché «esprimono sia la rabbia della gente per le sofferenze, sia l’etica politica e le istituzioni che vorrebbero costruire». «I criminali come Osama Bin Laden – conclude Khoury – continueranno ad appestare il mondo. Ma centinaia di milioni di arabi, turchi e iraniani che chiedono democrazia e dignità possono cambiare in meglio il loro mondo. E questo è ciò su cui le potenze straniere e la società civile locale dovrebbero concentrare l’attenzione d’ora in avanti».
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