Due studiosi dell’Università di Strasburgo pubblicano questo saggio che non solo offre a un pubblico vasto la ricostruzione di un’antichissima raccolta di logia poi confluita nei vangeli di Matteo e Luca, ma si concentra pure sull’ambiente storico e teologico che emerge da un documento mimetizzato tra le pagine più famose dei Sinottici.
Tautologica anche nel nome, la fonte “Q” (come Quelle, che in tedesco sta per «fonte») è terreno sacro; essa parla dal cuore del Gesù uguale e diverso dei vangeli sinottici, in essa riecheggiano i detti e le istruzioni ai primi discepoli di un Dio pre-pasquale che ancora non muore e non risorge, di cui quasi non si narrano i miracoli, ma di cui la fonte Q disegna forse il ritratto più «antico» del Nuovo Testamento.
Merito di Denis Fricker e Nathalie Siffer, dell’Università di Strasburgo, aver pubblicato un saggio per i tipi della San Paolo, intitolato appunto La fonte Q, che non solo offre a un pubblico vasto una ricostruzione di un’antichissima raccolta di logia poi confluita nei vangeli di Matteo e Luca (oltre a un’attenta ed accessibile ripresentazione della tuttora controversa «teoria delle due fonti»), ma si concentra pure sull’ambiente storico e teologico che emerge da questo documento prezioso quanto mimetizzato tra le pagine più famose dei Sinottici.
La fonte Q trova infatti il suo spazio all’interno di quell’humus difficilmente esplorabile di tradizioni orali e scritte in cui affondano le radici le redazioni dei vangeli, in particolare quelli di Matteo e Luca, che se hanno -in modo indipendente- attinto al vangelo di Marco, sono probabilmente anche debitori di questa fonte nascosta per millenni (da qui il nome di «teoria delle due fonti»), ancora più arcaica dell’arcaico vangelo marciano, e «scoperta» solo nel diciannovesimo secolo. E non perché a quel tempo sia stata recuperata una prova sensibile di un documento scritto che preceda e informi i vangeli canonici. In un certo senso la fonte Q è sempre rimasta dove tuttora si può leggere e non altrove, in simbiosi ma smembrata all’interno dei due sinottici più recenti; semplicemente, a partire dai tempi di Christian Gottlob Wilke (il suo studio Der Urevangelist vede la luce nel 1838) si comincia a riflettere su una possibilità che fino ad oggi ha goduto di alterne fortune in ambito scientifico (spesso è stata utilizzata come argomentum in chiave anti-cattolica perché apparentemente conferma una distanza tra il Gesù della storia e il Cristo della fede), e che analizzando in modo nuovo le convergenze e le differenze dei tre sinottici, è giunta per via deduttiva a «ritagliare» da Matteo e Luca un testo in se stesso coerente nella forma e nei contenuti.
Convinzione degli autori è che, nel complesso, la figura di Gesù risulti incentrata su un lato sapienziale e profetico (il titolo «Cristo» non viene mai utilizzato e si è parlato così di cristologia «implicita» ancorché «alta»), mentre di Dio si connota soprattutto la sollecitudine verso gli uomini e si sottolinea costantemente il ruolo di Padre misericordioso e provvidente; un annuncio buono dunque, come si conviene ad un vangelo, per quanto comprenda anche logia di estrema durezza, come le invettive scagliate contro l’ambiente farisaico o, più in generale, concreti riferimenti all’escatologia e al giudizio finale, oltre a detti che riflettono la radicalità della strada indicata ai veri discepoli.
La fonte Q sembra così compatibile con una comunità di discepoli ancora principalmente rivolta, nel bene e nel male, al mondo ebraico e non ai «gentili»; è un testo, come detto, frutto di un’ipotesi tuttora dibattuta e non di una certezza, che peraltro non viene mai nominato nella letteratura della Chiesa dei primi secoli. Tuttavia, se un’antologia di detti di Gesù siffatta è davvero esistita, essa forse circolava in Palestina già poco dopo il 40 dopo Cristo ed è per questo capace di immergere il lettore nel clima che si poteva respirare all’interno di una comunità cronologicamente molto prossima, se non addirittura coeva, al Maestro.