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A Gaza c’è aria di svolta

Giorgio Bernardelli
27 maggio 2011
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A Gaza c’è aria di svolta
Un autobus lascia il territorio egiziano per entrare nella Striscia di Gaza dal varco di Rafah. (foto Eubam)

Chi racconta il Medio Oriente in queste ore continua a tenere gli occhi puntati su Deauville, dove è in corso la riunione del G8. Ma sbaglia. Perché le cose veramente importanti in queste ore stanno succedendo a Gaza. Siamo, infatti, alla vigilia di un altro di quei passaggi che possono cambiare sensibilmente le carte in tavola...


Chi racconta il Medio Oriente in queste ore continua a tenere gli occhi puntati su Washington o su Deauville, dove è in corso la riunione del G8. Ma sbaglia. Perché le cose veramente importanti in queste ore stanno succedendo a Gaza. Siamo, infatti, alla vigilia di un altro di quei passaggi che possono cambiare sensibilmente le carte in tavola.

L’Egitto ha annunciato che a partire da sabato 28 maggio riaprirà stabilmente il valico di Rafah, quello che collega Gaza al Cairo. Resterà aperto tutti i giorni e verrà chiesto un visto d’ingresso solo agli uomini di età compresa tra i 18 e i 40 anni. Bisognerà verificare nei prossimi giorni come concretamente andranno le cose. Ma se davvero la frontiera si aprisse stabilmente e in questi termini, sarebbe la fine del blocco di Gaza, decretato nel 2007 da Israele dopo il rapimento del soldato Gilad Shalit e attuato grazie alla collaborazione dell’Egitto di Hosni Mubarak, dal momento che i militari israeliani – dal ritiro voluto da Ariel Sharon – non hanno più alcun controllo della frontiera tra Gaza e l’Egitto.

La riapertura del valico di Rafah è una delle condizioni poste da Hamas per l’accordo tra le fazioni palestinesi mediato dall’Egitto. E sarebbe una boccata d’ossigeno importantissima per la popolazione civile della Striscia. Per capire – infatti – con quali difficoltà, ancora oggi, si attraversa questa frontiera basta leggere la cronaca di Ramzi Baroud che rilanciamo qui sotto, tratta dal sito palestinese Miftah. Un articolo che spiega molto bene anche un’altra cosa: quanto l’apertura del valico di Rafah sia pure una mossa di politica interna per i militari che governano oggi al Cairo. Dalla piazza infatti c’è una forte richiesta in questo senso e non bisogna dimenticare quanto la situazione di Gaza sia un tema molto sentito da tutti gli arabi. Ed è interessante che Baroud racconti come sulla strada tra il Cairo e Gaza ci siano i carri armati: non tanto per respingere un’improbabile invasione palestinese, quanto piuttosto per evitare che siano gli egiziani a marciare verso Rafah.

La mossa del Cairo è evidentemente uno smacco per Israele. E già sono cominciati gli allarmi sulle armi che potrebbero entrare a Gaza attraverso la frontiera. Ma va anche ricordato che le stesse armi sono sempre entrate in questi anni attraverso la fiorente economia dei tunnel. E allora è interessante osservare come in queste ore – su Haaretz – sia apparsa anche un’analisi controcorrente scritta da Amos Harel e Avi Issacharoff, due esperti di strategia politico-militare, secondo cui l’apertura del valico di Rafah in realtà non cambia nulla dal punto di vista militare e potrebbe addirittura alleggerire la pressione internazionale su Israele sulla questione del blocco. Ed è comunque un fatto che dal 4 maggio, cioè da quando è in vigore l’accordo tra le fazioni, da Gaza non sono più partiti razzi Qassam verso Israele.

Di certo chi esce sconfitto da tutto questo è ancora una volta la comunità internazionale e in questo caso l’Italia in maniera particolare: infatti al valico di Rafah noi avremmo dovuto giocare un ruolo importante nell’ambito della missione Eubam, il team di esperti di sicurezza europeo istituito nel 2005 che avrebbe dovuto sovrintendere al controllo di quella frontiera. All’inizio e per un lungo periodo la missione Eubam l’abbiamo addirittura comandata e tuttora nello staff il cui mandato annuale è scaduto il 24 maggio c’era un alto funzionario italiano. Nonostante la responsabilità che ci era stata affidata politicamente, però, non abbiamo svolto alcun ruolo per superare la situazione insostenibile che ha fatto sì che per quattro anni quello sbocco rimanesse chiuso. E adesso alla soluzione ci si arriva per un’iniziativa unilaterale dell’Egitto che sembra intenzionato a non coinvolgere in alcun modo Eubam.

Che l’intenzione di voltare pagina su Gaza sia uno dei punti fondamentali oggi in discussione in Palestina lo conferma infine un’ultima notizia notizia che rilanciamo dall’agenzia palestinese Maan: ieri nella Striscia è stato lanciato il Gaza Investment Fund, un fondo di investimento da un miliardo di dollari per la ricostruzione e lo sviluppo economico locale. A finanziarlo sono per 200 milioni di dollari finanziatori palestinesi e per il resto donatori internazionali. A tenerlo a battesimo è stato Muhammad Mustafa, un altro tecnocrate che ha lavorato per quindici anni alla Banca mondiale. Maan sostiene che sia lui il vero candidato per la guida del governo palestinese di transizione verso le elezioni, sul quale le fazioni stanno ancora trattando. E che questa visita a Gaza sia di fatto il suo debutto. Se così fosse sarebbe un po’ difficile presentarlo come il premier di Hamas.

Clicca qui per leggere l’articolo di Ramzi Baroud su Miftah
Clicca qui per leggere l’analisi di Harel e Issacharoff su
Haaretz
Clicca qui per accedere al sito dell’Eubam
Clicca qui per leggere la notizia sul Gaza Investment Fund

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