Il quartiere ebraico racchiuso tra le mura della Gerusalemme vecchia è tornato ad essere un baluardo del giudaismo ultraortodosso, così com’era stato fino al 1948. Lo rileva un’indagine sociologica, condotta da alcuni ricercatori israeliani, secondo la quale il quartiere si è via via svuotato della sua componente laica.
(Milano/g.s.) – Il quartiere ebraico racchiuso tra le mura della Gerusalemme vecchia è tornato ad essere un baluardo del giudaismo ultraortodosso, così com’era stato fino al 1948. Lo rileva un’indagine sociologica condotta da alcuni ricercatori e riportata nei giorni scorsi dalla stampa israeliana. Gli autori della ricerca, Doron Bar e Rehav Rubin, spiegano che il quartiere si è via via svuotato della sua componente laica, la quale ha ceduto quasi completamente il campo ai praticanti più rigorosi.
Un dato confermato anche dall’osservazione empirica di uno dei rabbini ultraortodossi del quartiere, il prof. Daniel Sperber, che spiega al quotidiano Haaretz come la sua sinagoga, quella di Menachem Zion, fosse fino a pochi anni fa l’unico, affollato, luogo di culto degli haredim, mentre oggi le loro comunità fanno riferimento a vari altri edifici religiosi.
Anche se la municipalità cerca di incentivare una presenza ebraica più composita all’interno del quartiere, quel piccolo nucleo urbano a ridosso del Muro occidentale torna, in qualche modo, alla fisionomia che l’ha caratterizzato per secoli.
In seguito alle rivolte giudaiche contro la dominazione romana, Gerusalemme era stata rasa al suolo tra il 70 e il 134 d.C. Al suo posto sorse la colonia romana di Aelia Capitolina dalla quale gli ebrei furono banditi, se non come pellegrini, per alcuni secoli. Quando in epoca bizantina la messa al bando venne allentata, una piccola comunità di pii israeliti tornò a stabilirsi nelle vie e nelle case a ridosso del luogo più caro al giudaismo: il Muro occidentale, tutto ciò che resta dell’antico recinto del Tempio di Gerusalemme.
Quella presenza ebbe fine nel 1948, quando le truppe arabe contrapposte al neonato Stato di Israele, si aggiudicarono il controllo militare di Gerusalemme Est e del centro storico. Durante la battaglia per la città santa l’artiglieria della Legione araba di Trangiordania ridusse il quartiere a un mucchio di rovine e costrinse gli abitanti a sfollare nei quartieri occidentali. Gli israeliani si presero la rivincita nel 1967 con la guerra dei Sei giorni, grazie alla quale assunsero quel pieno controllo di tutta Gerusalemme che esercitano tuttora.
Dal ’67 ai nostri giorni il quartiere ha mutato volto: le case arabe immediatamente prospicienti il Muro occidentale sono state rase al suolo per far spazio all’ampio piazzale su cui oggi si incrociano i passi di fedeli, turisti e pellegrini; moderni edifici ospitano sinagoghe, istituzioni culturali ebraiche e, sempre più, anche abitazioni.
La fisionomia eminentemente ebraica del quartiere si manifesta con molti segni: è rarissimo, se non impossibile, che un non ebreo vi trovi casa; capita che le vestigia archeologiche di epoca romana, bizantina e crociata siano messe in secondo piano rispetto alle testimonianze sull’antica presenza giudaica. Gli stessi Bar e Rubin, a margine della loro ricerca, citano un esempio: una targa posta presso i resti di una chiesa d’epoca crociata è stata rimpiazzata con un cartello più generico che indica il luogo come area d’interesse archeologico.