Prendendo la parola davanti all'Assemblea generale dell'Onu, ieri il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha messo in chiaro che il suo governo riconoscerà solo uno Stato palestinese che nasca dai negoziati con Israele. Se si volesse forzare la mano gli Usa porrebbero il veto in Consiglio di sicurezza. Quali strade restano aperte.
(Milano) – Ieri mattina, 21 settembre, a New York il presidente degli Stati Uniti ha preso la parola – come altri capi di Stato e di governo – davanti all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Barack Obama ha esordito dicendo di voler parlare di «ricerca della pace in un mondo imperfetto».
Per oltre metà del discorso l’inquilino della Casa Bianca ha elencato i mutamenti politici e sociali avvenuti nell’ultimo anno in Nord Africa e nel Medio Oriente. Obama ha menzionato il progressivo disimpegno militare americano in Iraq e Afghanistan e valutato positivamente le evoluzioni registrate in Costa d’Avorio, Sud Sudan, Tunisia, Egitto, Libia. Si è poi soffermato sulle questioni irrisolte o tuttora in divenire: l’Iran, la Siria, lo Yemen, il Bahrain.
«Noi crediamo – ha osservato il presidente – che ogni nazione debba tracciare la sua rotta per il proprio popolo, e l’America non si aspetta di concordare con ogni partito o persona che si esprimono politicamente. Ma noi sosterremo sempre i diritti umani universali che furono abbracciati da questa Assemblea. (…) Gli Stati Uniti continueranno a supportare quelle nazioni che stanno camminando verso la democrazia con maggiori scambi commerciali e investimenti, così che la libertà sia accompagnata da opportunità».
Poi il piatto forte del discorso: «So che, particolarmente questa settimana, per molti in quest’aula c’è una questione che rappresenta un test per questi principi e per la politica estera americana: è il tema del conflitto tra israeliani e palestinesi».
Obama ha riconosciuto che su questo versante l’anno trascorso ha deluso molti, lui incluso: «Un anno fa, proprio da questo podio, chiedevo uno Stato palestinese indipendente. Ero convinto allora, così come lo sono oggi, che il popolo palestinese meriti un suo Stato. Dicevo anche però che una pace genuina può essere realizzata soltanto dagli stessi israeliani e palestinesi. Un anno dopo, nonostante gli intensi sforzi dell’America e di altri, le parti non hanno colmato le loro distanze».
A questo punto il presidente Usa ha ribadito la posizione del suo governo: «La pace non verrà attraverso dichiarazioni e risoluzioni delle Nazioni Unite; fosse tanto facile, l’avremmo già raggiunta. (…) Alla fin fine sono israeliani e palestinesi che devono vivere fianco a fianco. Sono loro, e non noi, che devono raggiungere un accordo sulle questioni che li dividono: i confini, la sicurezza, i rifugiati e Gerusalemme».
Obama ha ribadito i diritti dei palestinesi a realizzarsi in un proprio Stato e di Israele a vivere in sicurezza. E qui è risuonata la formula consueta d’ogni discorso ufficiale delle Amministrazioni Usa, democratiche o repubblicane che siano: «L’impegno dell’America al fianco di Israele è incrollabile. La nostra amicizia con Israele è profonda e durevole». E dopo aver sottolineato le minacce alla propria sussistenza a cui il popolo ebraico e il suo Stato hanno dovuto e devono ogni giorno fronteggiare, il presidente ha detto: «Non ci sono scorciatoie». Detto in altri termini: non contate sugli Usa per approvare l’ammissione dei palestinesi all’Onu come Stato membro; in Consiglio di sicurezza porremo il veto e il discorso è chiuso. Nessuna sorpresa: la posizione era da tempo universalmente nota.
In assenza di parere favorevole del Consiglio di sicurezza, l’Assemblea generale non può discutere la questione. Tutt’al più potrebbe elevare di rango la Missione palestinese, già accreditata in veste di Osservatore permanente, riconoscendole la qualità di Stato non membro. Deliberazione che potrebbe salvare la faccia del presidente Mahmoud Abbas (Abu Mazen), non lasciandolo a mani vuote ma anche consentendo alla Palestina di accedere ad altri organismi della galassia Onu.
In realtà c’è un’altra via possibile, e in queste ultime ore sembrerebbe non dispiacere ad Abu Mazen e alla dirigenza di Fatah (Hamas è del tutto contraria all’intera operazione): presentare comunque domani, 23 settembre, al Consiglio di sicurezza la richiesta di ammissione della Palestina all’Onu come nuovo Stato membro e poi attendere che la pratica faccia il suo (lento) corso. Nella speranza che i negoziati bilaterali con Israele possano ripartire o che la situazione sul terreno cambi, in un modo o nell’altro.