Nei primi anni Novanta del secolo scorso, molti cristiani palestinesi, per lo più di giovane età si sono rivolti alla Custodia di Terra Santa, a Gerusalemme, per chiedere vario genere di assistenza, tra cui un aiuto finanziario che permettesse loro di frequentare l’università. Molti di questi giovani esprimevano la preoccupazione di essere costretti a lasciare la Terra Santa se non si fosse fatto nulla per alleviare i loro problemi. Da queste grida di aiuto, e dalla continua emigrazione di cristiani dalla regione, ha preso le mosse la Franciscan Foundation for the Holy Land (Ffhl), fondata nel 1994. Ne è presidente il frate minore di origini statunitensi Peter Vasko.
«La nostra priorità assoluta – ci dice – è finanziare le borse di studio universitarie che, posso assicurarvelo, si dimostrano una strada efficace per rispondere al problema dell’esodo dei cristiani. I nostri ragazzi sarebbero partiti e invece rimangono. Fin qui abbiamo erogato più di 170 borse di studio che vanno a coprire le tasse scolastiche e l’acquisto dei libri. Stiamo parlando, complessivamente, di 3 milioni e mezzo di dollari. Al momento, 80 dei nostri studenti ha terminato il college… Il 70 per cento dei laureati ha trovato impiego in svariate aree professionali: mondo degli affari, istruzione, legge, medicina, ingegneria. Tutti giovani che hanno deciso di restare nella propria terra, nessuno di loro è partito. Il restante 30 per cento è costituito da ragazze che hanno deciso di formare una famiglia».
La seconda priorità riguarda quegli studenti che preferiscono non iscriversi a un corso universitario ma optano per la formazione professionale, per diventare idraulici, meccanici d’auto, operai metallurgici. «Copriamo tutte le aree formative – spiega fra Vasko – ed è meraviglioso. Siamo molto soddisfatti».
Conservare le radici. Si potrebbe obiettare che una volta conseguito un buon livello di istruzione questi giovani potrebbero andare a cercare un lavoro meglio retribuito all’estero. Fra Peter non nasconde che sia un pericolo reale. «La nostra esperienza dice che coloro che hanno frequentato l’università trovano lavoro in imprese israeliane. A Betlemme la situazione è un po’ più complicata perché non ci sono molte opportunità di lavoro, ma anche lì qualcosa si trova. Comunque sì, c’è chi pensa: “Mi meriterei uno stipendio migliore”. Ci possono sempre essere eccezioni alla regola ma la gran parte delle persone con cui ho avuto a che fare ha interesse a rimanere. Sono giovani che non vogliono lasciare la loro terra, perché qui hanno i loro genitori e le loro radici. Il denaro non sembra poi essere una spinta tanto determinante quanto molti pensano».
Il problema dell’emigrazione è particolarmente grave, a guardare ai dati. Sul suolo israeliano vivono oggi 7 milioni di persone, più altri 3 che abitano in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In tutto i cristiani sono 160 mila – meno del 2 per cento – e vanno ancora diminuendo. Mezzo secolo fa erano il doppio. A determinare questo declino concorrono sia un basso tasso di natalità sia ragioni politiche ed economiche che inducono ad emigrare.
Una buona parte dei fondi raccolti dalla Fondazione e destinati al sostegno della presenza cristiana in Terra Santa provengono dagli Stati Uniti. Un fatto che rende fra Peter particolarmente orgoglioso. «Ho trovato cristiani negli Usa, in particolare fedeli cattolici, che mostrano grande interesse nel contribuire a mantenere la missione e la presenza dei cristiani in Terra Santa. Gran parte degli americani la reputano una causa degna. Ho constatato anche che coloro che si recano in Terra Santa come pellegrini si appassionano ancora di più. Dopo aver toccato con mano i problemi che questi giovani devono fronteggiare, diventano sostenitori convinti».
Un ricordo di Sambi. Una punta di nostalgia traspare dalle parole del religioso quando gli chiediamo di ricordare l’arcivescovo Pietro Sambi, il diplomatico pontificio scomparso il 27 luglio scorso. «Monsignor Sambi – che riposi in pace –, nunzio apostolico negli Usa dopo esserlo stato in Israele, entrò nella nostra fondazione come consigliere speciale quattro anni fa e si è dimostrato un gigante in questo suo ruolo di assistente. Quando Benedetto XVI visitò gli Stati Uniti, nell’aprile 2008, mi ricevette per alcuni minuti nella sede della nunziatura apostolica. Monsignor Sambi gli aveva già parlato brevemente della Fondazione. Il Papa mi disse: “Nell’arcivescovo Sambi avete un collega molto vicino e caro, che apprezza il lavoro che la Fondazione sta compiendo”. Poi aggiunse che l’istruzione era davvero la chiave per trattenere i cristiani in Terra Santa. Quello era già il nostro ambito d’impegno, ma la parola del Vicario di Cristo ci ha confermato d’essere sulla strada giusta».
Oggi la sfida maggiore è coinvolgere un pubblico sempre più ampio. «Abbiamo lavorato bene con l’emittente televisiva cattolica Ewtn. Grazie ad essa sono certo che migliaia di telespettatori hanno potuto rendersi conto dei problemi che i cristiani di Terra Santa si trovano davanti. Ma vorrei arrivare a una platea cristiana ancora più vasta. Sono l’unico frate a percorrere gli Stati Uniti in lungo e in largo per spiegare la situazione e non posso arrivare ovunque. Vorrei anche che di questa missione si parlasse di più su scala nazionale (negli Usa), ma ci vuole tempo. Alla gente ripeto che dobbiamo tenere a mente che senza la Chiesa madre di Gerusalemme non ci sarebbe neppure una Chiesa a Sacramento, a Columbus, a Miami o in qualunque altra parte del mondo. Se non abbiamo consapevolezza delle radici religiose e del patrimonio da cui noi stessi veniamo, come possiamo dirci discepoli di Cristo? Ma quello che veramente mi sprona è il vedere questi studenti cristiani che abbiamo aiutato e i cui sogni si realizzano inducendoli a restare nella propria patria».