Francesca Paci, inviata della Stampa, con il suo libro Dove muoiono i cristiani prova a mettere questo gruppo sociale sullo stesso piano di altre minoranze discriminate (zingari, omosessuali, immigrati, ecc.), raccogliendo, in varie parti del mondo, le testimonianze di chi ha osservato o sperimentato l’ampia gamma di soprusi di cui si può essere oggetto in nome della fede.
I passi circospetti di padre Seed dentro e fuori Downing Street, un centro del potere dell’Occidente civile e democratico che diviene improvvisamente una moderna catacomba, dove in segreto si celebra Messa per Tony Blair, ormai cattolico come la moglie, e non più anglicano come la regina. Francesca Paci, inviata della Stampa, che conobbe di persona il frate a Londra, racconta che il suo libro Dove muoiono i cristiani nasce da questo particolare noto alle cronache di qualche anno fa, curioso ed incruento, in cui la rinuncia coatta ad esprimere un’identità religiosa era dovuta più che altro a una questione di pubblica convenienza (in fondo la coercizione riguardava la carica più che il soggetto, e i tempi di Thomas More erano lontani).
Sul momento, in verità, la fede clandestina di Blair lasciò Francesca Paci piuttosto indifferente. Ma proprio la coscienza di una personale assuefazione a questa limitazione di libertà di culto colpì la sensibilità squisitamente «laica» dell’autrice e la spinse ad allargare l’indagine sulla persecuzione dei cristiani anche al di fuori del Vecchio Continente.
Si trattava di mettere i cristiani sullo stesso piano di altre minoranze discriminate (zingari, omosessuali, immigrati, ecc.), raccogliendo sul posto le testimonianze di chi ha osservato o provato di persona l’ampia gamma di soprusi di cui si può essere oggetto in nome della fede, senza nulla concedere nemmeno a quella concezione asimmetrica, tipicamente cristiana, per cui la violenza contro i fedeli è un crimine, ma il martirio per fede è pur sempre una grazia necessaria per la salvezza del mondo.
Dove muoiono dunque i cristiani, e perché? C’è una classifica, spesso citata in questo lavoro, la WorldWatchList, che anche nel 2011 ha stabilito i cinquanta Paesi nel mondo in cui le vessazioni sono più gravi: nove di questi sono divenuti tappa della giornalista (Iraq, Palestina, Algeria, Turchia, India, Indonesia, Somalia, Nigeria e Corea del Nord, il peggiore); uno, il Brasile, «toccato» dall’autrice per ultimo, è persino fuori dalla graduatoria, pur con i suoi sicari che girano per l’Amazzonia in caccia dei religiosi che osano opporsi agli appetiti dei latifondisti.
Come qualcuno che riordina le idee, così scrive la Paci, «Piano piano il racconto di padre Seed ha cominciato a sedimentare e mi sono ricordata dei tanti sacerdoti che avevo incontrato in zone estreme, frontiere armate, nazioni distanti anni luce dalla democrazia, bidonville in cui l’unico diritto inalienabile è morire. Lì, negli angoli più bui del Pianeta, tra i relitti umani, dove la vita vale una scommessa, l’azione dei cristiani, che siano o meno minoranza (ma spesso lo sono), si avvicina molto ai princìpi dell’illuminismo, talvolta addirittura senza volerlo (…) La fede è sempre un pretesto, la differenza più epidermica su cui costruire un’epica di guerra. Sullo sfondo ci sono sempre disuguaglianze economiche come in Nigeria, divisioni sociali o tribali come in Orissa, conflitti politico-culturali come in America Latina, l’identificazione tra nazionalismo e religione per compattare società frammentate nei Paesi musulmani (…) La Chiesa resterà per sempre legata all’Occidente, agli Stati Uniti, ai bianchi, al potere macho. È per questo che paga. E non conta che oggi la maggior parte dei cristiani non siano occidentali né bianchi, gli schematismi mentali resistono agli schemi veri e propri. Così ho deciso di raccontare le storie dei “cristiani perseguitati”, perché non si perdano».