Yuda Braun è un giovane artista israeliano di 26 anni che ha deciso di far riflettere la gente per strada. Indossa la sua divisa da soldato e percorre le vie di Gerusalemme, si apposta nei villaggi dei Territori Palestinesi e di Israele, pattuglia la «linea verde». Yuda è completamente bianco e oppone questo colore ai concetti di sicurezza e oppressione...
Rilanciamo in italiano questo articolo pubblicato nel numero di gennaio-febbraio 2012 della rivista La Terre Sainte, il cui sommario è disponibile nella sezione francese di Terrasanta.net.
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Yuda non è il membro smarrito di qualche compagnia di montagna in tenuta invernale. È un artista che ha messo un solo colore sulla sua tavolozza per sciogliere le lingue e far reagire gli animi.
«Ma sei l’angelo della morte?». È una domanda tra le tante, posta da un bambino ebreo ultraortodosso al soldato bianco. Lui è Yuda Braun, un giovane artista israeliano di 26 anni che ha deciso di far riflettere la gente per strada.
Per questo, indossa la sua divisa da soldato e percorre su e giù le vie di Gerusalemme, si apposta nei villaggi e nelle città dei Territori Palestinesi e di Israele, sta di pattuglia lungo la linea verde stabilita nel 1967. Il tentativo sembra piuttosto banale, solo che Yuda è completamente bianco. Bianco dalla testa ai piedi: la testa, i capelli e i vestiti sono ricoperti di vernice, così come il suo casco (da ciclista) e la sua arma, un M16 di plastica.
Sinonimo di purezza, di pace o di resa, l’idea di bianco contrasta con quella di soldato. Yuda vuole opporre questo colore ai concetti di sicurezza, di controllo, di lotta e di oppressione. A seconda degli umori, dei luoghi e dell’ora del giorno, l’incontro si svolge in modi diversi: un mezzogiorno alla Porta di Damasco non ha nulla a che vedere con un giovedì sera a Mamilla (il quartiere alla moda alle porte della Città vecchia) o con il giorno di Shabbat nel quartiere ultraortodosso di Mea Shearim.
A volte la gente si ferma, altre volte lo guarda, gli dà del pazzo, si congratula, lo fotografa, lo insulta, lo invita a prendere un caffè, lo aggredisce, si mette a ballare intorno a lui, lo bacia… molto spesso i bambini hanno paura, sono quasi angosciati. Benché Yuda cerchi di mostrarsi gentile e abbozzi un sorriso, il più delle volte si spaventano e corrono a nascondersi sotto le gonne delle madri. Nulla di simile invece accade quando si trovano faccia a faccia con un vero soldato, ed è questo a dargli fastidio.
Per Yuda, i soldati sono talmente integrati nella società che non ci si fa più caso, «è come con i McDonald!». Persino i turisti confessano di non stupirsene più, dopo appena qualche giorno in Terra Santa. «Le persone sono troppo abituate alla violenza, e il loro stato d’animo è ormai rivolto alla guerra, alla sopravvivenza, al possesso, ai diritti concessi da Dio. Le persone sono pronte a sacrificare i loro figli per una causa, per un ideale. Non è normale, dovremmo poter sfuggire a una vita quotidiana plasmata dalla paura e dalla fobia della sicurezza».
Quando gli chiedono se il suo atto può essere considerato una provocazione, risponde che, come in ogni cosa, è questione di semantica. Non cerca la provocazione nel senso negativo del termine, vuole semplicemente suscitare un dibattito. Yuda non ha soluzioni concrete da dare al conflitto israelo-palestinese, non sventola bandiere né porta striscioni per strada. Non è un politico, non siede al Parlamento e si definisce piuttosto un attore. I territori israeliano e palestinese sono oltremodo carichi di storia e di emozioni, e altrettanto complicati. L’uomo si batte per questa terra da più di tremila anni. Per questo i soldati sono dappertutto e Yuda constata che per la popolazione è molto più comodo ignorarne la presenza.
Il giorno della commemorazione dell’indipendenza di Israele (lo scorso anno cadde il 9 maggio – ndr), Yuda ha indossato il suo costume. In mezzo alla folla raccoltasi sulla piazza della municipalità di Gerusalemme, è rimasto in piedi come una statua per quasi 3 ore e mezza.
Yuda racconta che si è trattato di un momento emotivamente molto forte e spera di aver indotto a riflettere il maggior numero possibile di persone. A volte, però, l’obiettivo risulta completamente mancato: il giorno della festa che ricorda la riunificazione di Gerusalemme, qualcuno si è congratulato con lui in quanto angelo custode della città.
È con la polizia che l’artista ha i problemi maggiori. Si è fatto arrestare diverse volte, e a due riprese gli è stato anche sottratto il costume, che vale circa 400 euro. Gli interrogatori si susseguono: perché fa questo? Per quale organizzazione lavora?… La polizia vede in Yuda una minaccia. «Hanno tutti lo stesso spirito guerrafondaio, i poliziotti mi accusano di minacciarli mentre sono loro ad avere in mano armi vere!». L’arma di Yuda è di plastica, ma gli è stata comunque confiscata dalla polizia, che ritiene che nessuno lo autorizzi a pattugliare. Oggi Yuda ha un avvocato che lo aiuta e che veglia su di lui. Le autorità ormai lo conoscono e non hanno più il diritto di impedirgli di portare avanti le sue performance artistiche.
Yuda vuole responsabilizzare la popolazione e renderla consapevole della situazione attuale. L’arte, a volte, può essere più efficace di tanti bei discorsi. Yuda si impegna ormai a radunare volontari per andare di pattuglia con lui e in più luoghi possibili. Il soldato bianco riuscirà a cambiare colore alle cose?
(traduzione di Roberto Orlandi)