Quale senso può avere oggi il digiuno per i cristiani? Come crescere nella comunione, educandoci a rinunciare all’avidità e alla bramosia di possesso?
La lettera pastorale del patriarca di Gerusalemme Fouad Twal, pubblicata in occasione della Quaresima, ha il merito di toccare un argomento che certamente gode oggi minor popolarità (rispetto ad altri) nelle nostre comunità cristiane e che merita invece di essere sottolineato. «Per noi peccatori, costantemente esposti ai fallimenti – scrive il patriarca – il digiuno è un modo efficace per dimostrare il nostro pentimento e il nostro desiderio di riparare il male compiuto. (…) Gesù ci ha presentato il modo di digiunare e di fare l’elemosina: nella segretezza e nella discrezione, senza ostentazione (cfr. Mt 6, 3-4), senza mostrare la mortificazione (cfr. Mt 6, 16) (…)».
L’invito che il patriarca rivolge alla comunità cristiana locale, ma che può essere esteso a tutti coloro che nelle Chiese locali sparse per il mondo si sentono in stretto rapporto con la Chiesa madre di Gerusalemme, è quello di trasformare il digiuno quaresimale, oltre che in un percorso di «conversione del cuore», anche in una richiesta di pace per la Terra Santa e il Medio Oriente. «Il Signore ci chiede di lavorare per la pace, ed è contento se lo facciamo con mitezza e dolcezza (cfr Mt 5, 3 e 9). Prima della sua Passione, Egli disse ai suoi discepoli: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14, 27). Nel suo corpo crocifisso sulla croce, Gesù ha abolito il muro di separazione tra i popoli (cfr Ef 2, 14), facendo la pace. È questa pace che desideriamo raggiungere, per grazia di Dio, e per questo offriamo le nostre preghiere, il nostro digiuno, la nostra penitenza».