Sono balzati sulle prime pagine dei giornali – qualche settimana fa – per le minacce a una bambina di Beit Shemesh che «osava» non vestire con il gonnellone e le maniche lunghe delle donne haredim.
E da mesi nell’esercito israeliano va avanti la polemica sui soldati religiosi che non vogliono partecipare a cerimonie in cui ci sono delle donne che cantano. Per non parlare degli autobus separati che circolano nel celebre quartiere di Meah Shearim a Gerusalemme. Ma è davvero solo questo oggi il volto dei religiosi in Israele? E quanto contano davvero nell’eterno braccio di ferro con l’ebraismo laico?
Il viaggio che vogliamo offrire ai nostri lettori in questo Dossier si propone come una guida (ovviamente non esaustiva) a un mondo che in realtà è molto più variegato di come si tende sempre a descriverlo. Un’occasione per provare ad andare oltre l’immagine da cartolina degli ebrei ultra-ortodossi, per provare a incrociare anche tanti altri volti più quotidiani dell’essere ebrei religiosi oggi in terra d’Israele. È anche un modo per prendere un po’ più sul serio questo mondo, provando a conoscerlo meglio. Perché il ritorno a Gerusalemme con la nascita dello Stato di Israele non è stato solo un fenomeno politico; è stato anche il nuovo inizio di una grande esperienza spirituale. C’è un ebraismo religioso che prega, che studia, che vive confrontandosi con tante sfide quotidiane oggi in Terra Santa. Un mondo che – come cristiani – non possiamo continuare a guardare solo con gli occhi di duemila anni fa.
(Il presente testo è l’Introduzione al Dossier pubblicato nelle 16 pagine centrali del bimestrale Terrasanta)