Quest’anno, con l’inaugurazione dell’Anno della Fede proclamato dal Santo Padre Benedetto XVI, la Chiesa celebrerà cinquant’anni dall’inizio del concilio ecumenico Vaticano II (1962-1965). Come si sa, il Papa insiste perché il Concilio sia letto nell’ottica della continuità con gli oltre diciannove secoli della predicazione del Vangelo che lo precedettero, e non sia visto come loro «azzeramento» per lanciare qualche cosa di diverso.
Per un cristiano «giovane» come me – che non conosceva affatto la Chiesa prima del Concilio – tale perfetta continuità è più che evidente. Se non avessi sentito le invettive dei «contestatori», non avrei mai pensato che qualcuno potesse non riconoscere gli insegnamenti del Vaticano II come la più recente espressione della trasmissione mai interrotta dell’annuncio della salvezza in Cristo morto e risorto per noi, partito proprio da Gerusalemme.
Il che non vuol dire essere incapace di cogliere del Concilio la forza rinnovatrice, quasi di una nuova Pentecoste. Anzi.
Alla vigilia del Concilio, la Chiesa, nel suo elemento umano, in Occidente, si trovava provata da quasi due secoli di lotta con la «modernità» che la assaliva, sia nelle sue pessime espressioni totalitarie, culminate con il nazifascismo e il comunismo, che più sottilmente nelle sue espressioni all’apparenza più benevole, che si risolvevano in quella che il Pontefice ora regnante avrebbe chiamato «la dittatura del relativismo». Alle volte sembrava che, come spesso accade, la colluttazione stessa, dalle mille conseguenze, rischiasse di oscurare quello che veramente contava. Ri-alzare lo sguardo e ripartire da Cristo sarebbero state per il Concilio le parole d’ordine. Distinguere la Buona Novella della salvezza dai mille interessi terreni degli presunti «alleati» che della Chiesa cercavano servirsi per i propri scopi. Lucidare, per così dire, i vasi sacri. Purificare il discorso dalle inevitabili infiltrazioni ed escrescenze varie.
Far sì, soprattutto, che il «volto» della Chiesa quaggiù sia sempre più veramente trasparenza del vero Volto di Cristo, e che la «Luce delle Nazioni», che è Cristo, brilli sempre più davanti agli uomini attraverso il Suo Corpo nel mondo e nella storia che è la santa Chiesa cattolica.
Il Concilio non era perciò un vasto esercizio di introspezione autoreferenziale, ma essenzialmente un evento missionario. Il rinnovamento della Chiesa era voluto specificamente in funzione del rendere sempre più efficace e più incisiva la sua missione nel mondo degli uomini.
E quando l’allora Papa, Paolo VI di venerata memoria, volle venire Pellegrino in Terra Santa, nel 1964, in pieno Concilio, Ospite del Custode di Terra Santa presso i Santuari, il messaggio era chiaro. Il rinnovamento della Chiesa, come la sua stessa fondazione, riparte da Gerusalemme.
Attraverso tutte le travagliate vicende dei secoli, sono i Luoghi Santi che con la loro muta eloquenza hanno continuato a richiamare all’Origine, a Cristo, che è anche la Meta.
E per quasi otto secoli sono in particolare i frati francescani della Terra Santa che a tale eloquenza, in sé muta, hanno dato, come danno ancora, voce.