Mi rendo conto che questa storia degli arabi in sciopero della fame in carcere sta diventando una specie di mia personale ossessione. Però stento a capire come mai uno dei trend più macroscopici oggi nel mondo arabo continui a non interessare agli esperti che ci inondano con le loro analisi. Piccola premessa polemica per dire molto semplicemente: tenete d’occhio il Bahrein nei prossimi giorni.
A Manama sta infatti per arrivare il Gran Premio di Formula 1 che la Federazione automobilistica internazionale giusto ieri, a Shanghai, ha confermato per domenica 22 aprile. Solo che ci arriva proprio nel momento in cui la tensione è alle stelle: come raccontavamo qualche settimana fa, il locale attivista per i diritti umani Abdulhadi Al Khawaja è da settimane in sciopero della fame in carcere. Da qualche giorno è in ospedale e in queste ore pare stia raggiungendo la soglia critica: quella per cui se non si interviene si muore. Il tempismo non poteva essere migliore e – qualsiasi cosa succeda nelle prossime ore – è davvero difficile pensare che i suoi sostenitori non proveranno a farsi sentire nell’unica settimana all’anno in cui i media di tutto il mondo sono in Bahrein. Evidentemente però lo pensano anche gli Al Khalifa, la famiglia sunnita che regna su una popolazione che è per il 70 per cento sciita; così oggi ha pensato bene di spedire il primo ministro Khalifa bin Salman Al Khalifa a «mostrare il suo sostegno» alle forze armate. Il tutto ovviamente immortalato in una fotografia pubblicata sul quotidiano locale Gulf Daily News, tanto per far arrivare con chiarezza il messaggio agli sciiti.
Vale la pena di ricordare che la Primavera araba aveva avuto Manama tra le sue prime piazze calde. E che qui le manifestazioni di piazza degli sciiti (di cui Al Khawaja è uno dei leader) erano state represse nel sangue nel marzo 2011 grazie al «soccorso» delle truppe saudite. E dopo quegli episodi l’attivista era stato condannato al carcere a vita per un reato che è evidentemente di natura politica. Altro dettaglio non indifferente: il Bahrein è la base logistica della Quinta Flotta degli Stati Uniti, il che ha portato l’amministrazione Obama a chiudere più di un occhio rispetto a questa repressione. È dunque abbastanza surreale che in un contesto del genere si corra un Gran Premio di Formula 1, ma le penali da pagare per l’annullamento sono state più forti persino delle preoccupazioni per la sicurezza, espresse da più di un team. La speranza è che questo giochino abbastanza costoso non si trasformi in un nuovo bagno di sangue a Manama. Dove – anche questo vale la pena di ricordarlo – tra l’altro vive anche una folta comunità di lavoratori cristiani immigrati, come in tutti i Paesi del Golfo. Persone che non guardano certo con grande tranquillità alle nubi che si addensano su Manama.
Non è solo il Bahrein comunque a continuare a dare notizie sugli arabi in sciopero della fame in carcere. Un attivista per i diritti umani starebbe scioperando anche in Arabia Saudita. A rilanciare la notizia è stata al Jazeera: si chiamerebbe Mohammed al Bajadi e sarebbe in carcere dal 21 marzo scorso. L’avrebbero arrestato per aver denunciato la morte di un cittadino yemenita, non sopravvissuto alle torture. Secondo alcuni attivisti, al Bajadi non solo sta digiunando, ma da qualche giorno sarebbe anche in sciopero della sete. Circostanza seccamente smentita dal ministero dell’Interno saudita, secondo il quale il detenuto «mangia regolarmente e sta bene».
Poi c’è il capitolo israeliano: dopo Khader Adnan (che dovrebbe uscire a giorni di prigione) e Hana Shalabi (che è stata scarcerata con la condizione che sia confinata a Gaza per tre anni) adesso ci sono altri due palestinesi in detenzione amministrativa e che hanno superato il quarantesimo giorno di sciopero della fame: si tratta di Thaer Halahleh e Bilal Diab. Anche lì, dunque, la vicenda è tutt’altro che finita.
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